Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/08/2019, a pag.13 con il titolo "Washington suona l'allarme: 'L'Isis sta rialzando la testa'" la cronaca di Paolo Mastrolilli.
Paolo Mastrolilli
L’Isis sta rialzando la testa in Iraq e in Siria. Non è in condizione di ricostruire il Califfato, ma combatte per destabilizzare i due paesi e minaccia l'Occidente col terrorismo. L'allarme viene da un rapporto realizzato dall'Inspector General degli Stati Uniti per il Congresso, redatto in collaborazione con Pentagono, dipartimento di Stato e US Agency for International Development, tra il primo aprile e il 30 giugno scorso. Il testo di oltre cento pagine, rilanciato dal «New York Times» e intitolato «Operation Inherent Resolve», si somma ad altre analisi condotte dall'Onu e da varie agenzie di intelligence che raggiungono la stessa conclusione. Al massimo della sua forza, il Califfato era arrivato a controllare un territorio grande come la Gran Bretagna, gestendo la vita di circa 12 milioni di persone. Il mese scorso il presidente Trump aveva detto di averlo eliminato al cento per cento, avviando il ritiro: al momento gli Usa hanno 5.200 soldati in Iraq e meno di mille in Siria. La realtà però è diversa, secondo le valutazione dello stesso governo americano. L'Isis ha ancora circa 18.000 militanti nei due paesi, nascosti soprattutto nelle zone rurali. Si tratta soprattutto di cellule dormienti che lanciano attacchi terroristici, imboscate, omicidi mirati e rapimenti, ma conservano anche l'operatività per condurre attentati in Occidente. Durante i primi sei mesi del 2019 nelle province irachene di Salahuddin, Kirkuk, Nieveh, Diyala e Anbar sono avvenuti 139 attacchi in cui hanno perso la vita 274 persone. La ripresa delle attività dell'Isis è dimostrata anche dall'incremento della risposta del Pentagono, che nel mese di giugno ha lanciato 135 bombe e missili in Iraq e Siria, oltre il doppio del mese precedente. In agosto il sergente dei Marine Riders Scott Koppenhafer, che serviva con i peshmerga curdi, è diventato il primo americano ucciso in combattimento in Iraq nel 2019, mentre a Samarra sono tornate le esecuzioni pubbliche, con la decapitazione del poliziotto Alaa al Majmai. Per finanziarsi l'Isis conserva un tesoro di circa 400 milioni di dollari, e ha avviato attività clandestine come l'allevamento dei pesci e la coltivazione della marijuana, mentre nelle zone rurali continua l'estorsione. Inoltre sta approfittando delle terribili condizioni in cui vivono i rifugiati, in campi come quello di Al Hol nel nordest della Siria, dove oltre 70.000 persone sono esposte alle campagne di propaganda ideologica e reclutamento. Nello stesso tempo Isis sta cercando nuove basi nel Sinai e in Africa Occidentale, e minaccia di far saltare i possibili accordi di pace in Afghanistan. Il problema è strategico e di sicurezza, ma anche politico, in vista delle presidenziali americane del prossimo anno. La distruzione del Califfato, pur se ottenuta sulla scia di una strategia avviata da Obama, era finora l'unico risultato concreto ottenuto da Trump in politica estera. Il capo della Casa Bianca ha fatto ciò che prometteva, ma il negoziato con Kim non ha risolto la crisi nordcoreana, i dazi non hanno piegato la Cina, i regimi di Iran, Venezuela e Cuba sono ancora al loro posto, la Russia combatte in Ucraina, il piano di pace in Medio Oriente è fermo, e il muro al confine col Messico non è stato costruito. Se anche l'Isis tornasse sfare notizia, il presidente resterebbe senza successi di politica estera da rivendicare.
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