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La Stampa Rassegna Stampa
15.08.2019 Hong Kong non sarà mail più cinese: per ora è una speranza
Gianni Vernetti intervista Denise Ho, cantante e attivista

Testata: La Stampa
Data: 15 agosto 2019
Pagina: 9
Autore: Gianni Vernetti
Titolo: «Il rischio Tienanmen è sempre possibile»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/08/2019, a pag.9 con il titolo "Il rischio Tienanmen è sempre possibile" l'intervista di Gianni Vernetti alla cantante e attivista Denise Ho


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I nostri media peggio dei politici, con l'eccezione della Stampa che segue con attenzione il tentativo della Cina di schiavizzare Hong Kong, gli altri evitano di prendere posizione.

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Gianni Vernetti

 Denise Ho, artista, cantante e attivista è uno dei nuovi volti della protesta che ha infiammato Hong Kong in questi mesi. Nel 2014 si unì alla «rivolta degli ombrelli» contro il progetto di riforma del sistema elettorale voluto da Pechino. Nel 2016 la casa francese di cosmetici Lancôme cancellò la sponsorizzazione di una sua tournée dopo una campagna di boicottaggio promossa del quotidiano cinese «Global Times«, ultra-nazionalista e controllato dal Partito Comunista.
L’8 luglio scorso ha testimoniato al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, accusando la Cina di voler drasticamente ridurre la libertà e la democrazia a Hong Kong con la nuova legge sull’estradizione.
A causa del suo impegno politico, a Denise Ho è stato vietato di tenere concerti in tutta la Cina da più di cinque anni.
Che succederà ora a Hong Kong dopo settimane di proteste culminate nell’occupazione dell’aeroporto internazionale?
«Le proteste sono iniziate in modo pacifico con milioni di cittadiniinpiazzacontrolalegge sull’estradizione. Purtroppo il governo di Hong Kong ha praticamente ignorato le richieste dei manifestanti e non haaperto un vero dialogo politico. In più la reazione brutale e sproporzionata delle forze dell’ordine ha radicalizzato la piazza: lancio di lacrimogeni nel metrò, proiettili di gomma sparati a distanza ravvicinata e violenze ingiustificate hanno esasperato gli animi. Questa non è più la città che ha conosciuto una stagione di libertà, grazie alla “Basic Law”, l’insieme degli accordi costituzionali e di transizione negoziati fra Londra e Pechino nel 1997».
Sta cambiando qualcosa nell’atteggiamento del Governo della Repubblica Popolare Cinese?
«Sì, dopo una prima fase in cui la gestione della crisi è stata tutta nelle mani del Governo locale, l’Ufficio per gli Affari di Macao e Hong Kong è intervenuto, accusando i manifestanti di atti di “terrorismo”, accusa totalmente ingiustificata. Poi il dispiegamento di migliaia di soldati dell’esercito di Pechino a Shenzhen, per alludere alla possibilità di un interventomilitare.Ma questa tattica intimidatoria non ha funzionato».
Pensa che ci possa essere un «rischio Tiananmen» a Hong Kong? «Purtroppo questa è unapossibilità, anche se crediamo che il prezzo che pagherebbe la Cina sarebbe troppo alto sia da un punto di vista politico sia economico: Hong Kong è ancora importante per la finanza e il commercioel’immagineinternazionale di Xi Jinping verrebbe fortemente compromessa. La Cina sta cercando di spaventarci con questa possibilità, che crediamo però essere al momento poco probabile».
Ci racconti qualcosa su chi è sceso in piazza. Chi sono? Quali sono i loro sogni e le loro aspirazioni?
«Ciò a cui stiamo assistendo è molto diverso dal “movimento degli ombrelli” del 2014. Allora erano prevalentemente giovani e studenti, oggi la protesta ha coinvolto uno spettro molto ampio della società: non solo giovani, ma medici, insegnanti, avvocati, operai ed anche migliaia di impiegati dell’amministrazione governativa, con il rischio di perdita del posto di lavoro.L’aspirazione diffusa è semplice: poter conservare lo stile di vita e l’originale modello politico di HongKong,una città orgogliosa della sua libertà politica ed economica, per poter attuare davvero quanto previsto dagli accordi del 1997. E cioé, vera autonomia,un sistema legislativo indipendente, libertà di parola,stato di diritto,pieno rispetto dei diritti umani.Questi principi erano alla base dell’accordo “Un paese, due sistemi”, ma tale modello non è mai stato davvero implementato».
Quali sono le richieste del movimento di Hong Kong al governo locale ed a quello di Pechino?
«Elezioni libere e a suffragio universale; ritiro della legge sull’estradizione; un’inchiesta indipendente per indagare sulle violenze dalle forze dell’ordine;rilascio dei 700 arrestati».
Crede che la comunità internazionale dovrebbe fare di più per Hong Kong?
«Sì, vorremmo che i Governi dei Paesi democrati ci sostenessero più apertamente la difesa della libertà e della democrazia a Hong Kong e siamo grati alla stampa internazionale per ciò che ha già fatto. Ciò detto, il futuro è nelle nostre mani».
Lei è un’artista e una cantante, oltre a essere un’attivista politica. Come si sente a non potersi più esibire in Cina?
«La vita prosegue e la mia carriera artistica pure. Il divieto di esibirmi in Cina mi ha portato a trovare nuov estrade di impegno artistico e lavorativo. Ciò che mi rattrista sono le molte minacce imposte ad artisti cinesi colpevoli solo di essere miei amici o di avere messo like sul mio account Instagram. Nella comunità artistica in Cina c’è molta paura. Ma la censurae l’auto-censura,che stanno provando a sperimentare anche a Hong Kong, non avrà successo.

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