Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/08/2019, a pag.25, con il titolo " La rivolta di Lolita" l'intervista di Gianni Vernetti a Azar Nafisi, fuggita negli Usa accusando il regime di impedirle la libertà di insegnare. E' l'autrice di "Leggere Lolita a Teheran".
Azar Nafisi
Consigliamo ai nostri lettori, dopo aver letto questa importante intervista di Gianni Vernetti a Azir Nafisi, di scrivere al direttore del Sole24Ore, il quotidiano italiano più apertamente schierato in favore della dittatura degli ayatollah, chiedendogli se ritiene decente per un quotidiano pubblicato in paese democratico, comportarsi in questa maniera così servile.
ecco la e-mail:
letterealsole@ilsole24ore.com
Gianni Vernetti
Azar Nafisi è una scrittrice, docente, giornalista e attivista per i diritti umani. Il suo lavoro rappresenta una testimonianza importante sulle condizioni di vita delle donne e sulle sistematiche violazioni dei diritti umani nella Repubblica Islamica. Il suo libro più letto in Italia, Leggere Lolita a Teheran, racconta la storia dei dialoghi fra lei e sette sue studentesse su temi letterari e della difficoltà di essere donna nelle Repubblica Islamica dell’Iran.
Com’è oggi la vita delle donne in Iran?
«Se si vuol sapere dove stia andando oggi l’Iran, bisogna guardare alle donne iraniane. Per quarant’anni sono state un target primario del regime che ha imposto loro ogni tipo di divieto e di costrizione. Ma oggi più che mai sta crescendo la disobbedienza civile fra le donne del mio paese:migliaia di ragazze ogni giorno si levano il velo in pubblico e rifiutando di obbedire alle prescrizioni della “polizia morale”. Molte di loro vengono aggredite e messe in carcere, ma questo fenomeno è inarrestabile: le donne in Iran chiedono libertàdi espressionee libertà di scelta e svelano i limiti dell’islamizzazione forzata della società».
La reazione del regime sembra essere molto dura contro ogni forma di richiesta di rispetto dei diritti umani…
«Sì, basti pensare alla condanna arbitraria che è stata inflitta recentemente a NasrinSotoudeh,donnaeavvocato impegnata nella difesa dei diritti umani: 33 anni di prigione e 148 frustrate. Ma nonostanteciòcrescel’insofferenza nei confronti del regime e sta aumentando l’opposizione ad un regime teocratico fondato su una interpretazione ideologica dell’islampiùradicale».
Lo scorso anno esplose in Iran la cosiddetta “rivolta del pane” che vide migliaia di lavoratori e esponenti delle classi più deboli ribellarsi al regime. Qual è la sua valutazione?
«È stato un fatto inaspettato e molto importante. Storicamente in Iran l’opposizione è sempre stata guidata dalle élite: soprattutto studenti e intellettuali. Oggi invece famiglie, lavoratori e donne non protestano solo contro le pessime condizioni economiche, ma contro un regime soffocante. Manca ancora una leadership di questo movimento, ma non tarderà ad arrivare. L’altro elemento cruciale sono i giovani, che hanno pagato un prezzo altissimo in questi lunghi anni di regime totalitario. Ogni forma di ribellione è stata repressa , con torture e carcere. Nessun’altra generazione ha sopportato tanto. Giovani e donne sono la chiave del cambiamento in Iran».
Qual è la situazione del rispetto dei diritti umani nel paese?
«È terribile e purtroppo se ne sa ancora poco in Europa, America e in occidente.Abuso della pena di morte con impiccagioni eseguite nelle piazze; attacchi alle minoranze etniche (curdi, beluchi, ecc..); arresti delle donne che si levano il velo; uccisioni extragiudiziarie; forme di tortura “stalinista” con accusati portati in tv e costretti ad ammettere crimini mai commessi. La situazione è orribile e non vedo segni di cambiamento nelle norme e nel diritto, come ricorda spesso il Premio Nobel Shirin Ebadi. In più, il regime si sta progressivamente militarizzando, grazie al crescente potere dei Pasdaran,i Guardiani della Rivoluzione.La loro presenza è pervasiva e si è estesa a molti ambiti: economia, giustizia e naturalmente esercito. Ciò mispaventa molto».
La proiezione internazionale del regime è cresciuta in questi anni: Libano, Siria, Yemen e adesso le minacce sulla circolazione nello stretto di Hormuz. Qual è la sua opinione?
«Si tratta innanzitutto di un uso sconsiderato di risorse dello stato per avventure belliche.L’Iran è potenzialmente un paese molto ricco ma le condizioni economiche e di welfare sono disastrose. Poi c’è il bisogno di distrarre l’opinione pubblica dai problemi interni esibendo un nemico esterno.È già successo durante la Guerra con l’Iraq, quando Khomeini la definì un “dono” per l’Iran: grazie a quel conflitto fu silenziata per anni ogni forma di opposizione interna.La nuova aggressività dell’Iran sulla scena internazionale dimostra quanto sia disperato il regime, ma anche molto pericoloso».
L’Iran è un paese con una ricca tradizione storica e culturale. Cos’è rimasto dopo 30 anni di regime teocratico?
«Da un lato c’è stata una perditadi“senso etico”, ma contemporaneamente sta crescendo un interesse per la nostra storia, che è molto più ricca e articolata di come vorrebbe far credere l’Islam radicale che ci governa. Pensi solo al capodanno iraniano (il Nowruz, il nuovo giorno ndr.), celebrato secondo il calendario zoroastriano il 21 di Marzo: gli ayatollah hanno tentato in ogni modo di cancellare questa tradizione,senza successo».
Un cambio di regime è possibile in Iran?
«La disillusione dopo il fallimento della Primavera Araba è forte. In alcuni paesi il cambiamenoi c’è stato,persino in peggio. Ho molte speranze soprattutto nella società civile iraniana. L’Iran, a partire dall’inizio del secolo scorso, ha conosciuto una fortissima vivacità intellettuale e culturale che ha prodotto una società civile colta e sofisticata. Non tutto è stato cancellato dal regime e bisogna ripartire da qui».
La comunità internazionale dovrebbe fare di più?
«Sì. A cominciare dai Diritti Umani, con politiche simili a quelle messe in atto prima della caduta del Muro nell’Europa Orientale. Pensi all’accordo sul Nucleare. Il vero grande assente in quell’accordo era proprio la mancanza di condizioni da porre al regime sul rispetto dei diritti umani in Iran.
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