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La Stampa Rassegna Stampa
11.08.2019 Ebrei a Cuba: erano 40.000, con l'arrivo di Castro rimasero in 1.000
Reportage di Harry Wall

Testata: La Stampa
Data: 11 agosto 2019
Pagina: 12
Autore: Harry Wall
Titolo: «La nuova vita degli ebrei di Cuba di Cuba, soravvissuti a Fidel, ora resistiamo»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/08/2019, a pag.12, con il titolo " La nuova vita degli ebrei di Cuba, soravvissuti a Fidel, ora resistiamo" il commento di Harry Wall.

Le titolazioni della Stampa ogni tanto lasciano perplessi. Avviene con il pezzo, che non riprendiamo, pubblicato nella stessa pagina, una intervista di Francesco Olivo a Loris Zanatta,storico dell'America Latina, con il titolo " Castro era un re cattolico, comunista, ma con la Bibbia". Opinioni interessanti, che però ignorano la spietata dittatura di Castro, che spinse la metà degli abitanti di Cuba a fuggire nella vicina America. Lo leggiamo anche  nell'altro articolo di Harry Wall, che riprendiamo, se dei 40.000 ebrei che vivevano a Cuba, con l'arrivo di Castro ne rimasero 1.000. Lo stesso numero di quelli che formano oggi la piccola comunità rimasta, anziani in disagiate condizioni, famiglie discendenti da matrimoni misti e, perchè no, qualche estimatore del dittatore.


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Ecco l'articolo di Harry Wall:


Quando nel 1959 Fidel Castro prese il potere, si scagliò contro la religione e il capitalismo. Sull’isola, in prevalenza cattolica, le chiese furono chiuse e il regime comunista si dichiarò ateo. Ma una comunità fu particolarmente colpita, quella degli ebrei di Cuba, che prima della rivoluzione, gestivano una parte significativa degli affari e del commercio. Con la Rivoluzione quasi tutti gli ebrei, circa 40 mila, lasciarono Cuba per gli Stati Uniti. E per i pochi rimasti, quelli troppo poveri, anziani o coinvolti con la rivoluzione, la vita divenne molto difficile. Come le chiese, anche le sinagoghe furono chiuse e le pratiche religiose vietate. Ora, però, la religione sta riprendendo il suo ruolo a Cuba e la minuscola comunità ebraica, 1.200 membri, sta dando prova di una vitalità insperata. Gli ebrei dell’Avana condividono le numerose privazioni che caratterizzano la capitale cubana e il suo popolo, causate dall’embargo americano. La comunità è unita, ma priva di servizi di base come l’assistenza sanitaria di qualità e i prodotti di uso quotidiano. «Siamo la comunità che più ha lottato per sopravvivere dopo la rivoluzione», afferma Mayra Levy, presidente del Centro ebraico sefardita di Cuba. Una delle famiglie che scelse di non partire per Miami è quella di Fidel Babani Leon, nato nel 1959, l’anno della rivoluzione, e chiamato come il leader di cui poi divenne guardia del corpo. Ora, in pensione, con dei nipoti che vivono in Israele, è diventato un esperto della storia ebraica di Cuba e ci offre un tour dei suoi luoghi. «Gli ebrei arrivarono a Cuba nel XV secolo, erano “conversos” in fuga dall’Inquisizione spagnola», spiega mentre mi porta in auto verso il cimitero ebraico alla periferia dell’Avana. Il primo fu Luís de Torres, nato Yosef ben Levy Ha-Ivri, esploratore e traduttore. Fidel racconta che navigò con Colombo sulla Santa Maria, e il 2 novembre 1492 fu il primo a mettere piede sull'isola. Nell’era moderna, dice, ci sono stati tre principali flussi di immigrazione che hanno formato l’odierna popolazione ebraica: dopo la guerra ispano-americana nel 1898, alcuni ebrei americani si stabilirono a Cuba. All’inizio del XX secolo i sefarditi arrivarono dalla Turchia, in fuga dalle guerre nei Balcani. Infine, ci sono gli ebrei che arrivarono dall'Europa dell’Est per sfuggire al nazismo. Speravano di essere ammessi negli Stati Uniti ma non tutti ottennero il visto. Rappresentano la principale presenza ebraica a Cuba fino alla rivoluzione. La vita ebraica ruota attorno al Patronato, un edificio moderno e spazioso con la facciata dominata da un grande arco bianco, che ospita la sinagoga principale, Beit Shalom, e il Centro della comunità ebraica dell’Avana. Si trova nell’elegante Veldado, un quartiere alberato con case in stile Bauhaus. Il Patronato è il luogo in cui si tengono i servizi religiosi e si svolgono le celebrazioni, con una scuola domenicale per circa 60 bambini e programmi culturali. Fidel ci accompagna attraverso l’Avana Vecchia fino allo storico quartiere ebraico, vicino al porto. Un tempo brulicava di negozi, ristoranti kosher, sinagoghe e scuole ebraiche. Oggi, il quartiere è in rovina, l’ex panetteria, «La Flor de Berlín», è un negozio di proprietà del governo, scarsamente rifornito di pane distribuito con tessere annonarie. Nelle vicinanze si trova la sinagoga di Adath Israel, l'unica sopravvissuta alla rivoluzione. C’è anche un memoriale dell’Olocausto, circondato da un cancello di ferro. Gli ebrei a Cuba, per la maggior parte, sono figli di matrimoni misti, ma con una forte identificazione e attivi nella vita religiosa e culturale. «Gli ebrei sono stati molto fortunati, a Cuba hanno trovato un luogo accogliente in cui vivere», afferma Fidel. Nonostante la messa al bando della religione sull’isola e l’allineamento con l’Unione Sovietica contro Israele, Fidel sostiene che Castro ha avuto un occhio di riguardo per la comunità locale che, dopo l’allenamento delle restrizioni sulle religioni nel 1992, ha gradualmente ricostruito le sue istituzioni. «Castro stesso sosteneva di essere un discendente di conversos e questo forse ha influito», spiega la nostra guida. Oggi c'è un flusso costante di turismo ebraico, per lo più americano, consentito malgrado le restrizioni. Ma quale sarà il futuro per la comunità ebraica di Cuba? «Abbiamo un equilibrio molto fragile», conclude Mayra Levy. Fidel Babani Leon è molto più ottimista. «Ci saranno sempre degli ebrei qui», dichiara. (Traduzione di Carla Reschia)

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