Gli Stati Uniti e il problema delle armi
Analisi di Antonio Donno
Donald Trump
I democratici americani accusano il presidente Donald Trump di alimentare la violenza e il razzismo, dopo le stragi di El Paso e dell’Ohio. Ma, durante gli otto anni di presidenza Obama, vi furono altrettanti atti di violenza estrema, tra i quali la strage di Sandy Hook, nonostante che lo stesso Obama abbia più volte condannato la violenza e l’uso improprio delle armi e sollecitato il varo di leggi contro la libertà di accedere all’acquisto di armi. Se si va indietro nel tempo, anche durante le precedenti presidenze vi furono stragi, compreso il tentativo di uccidere il presidente Reagan e gli assassinii dei due fratelli Kennedy. L’attacco dei democratici a Trump è un vile espediente di carattere elettorale, perché anche negli anni di Obama una parte dei democratici, legati alle grandi industrie delle armi, dalle quali hanno ricevuto e ricevono cospicui finanziamenti, hanno taciuto sulle proposte di Obama di regolamentare la vendita delle armi. Dunque, la questione delle armi è assai più complessa delle accuse di carattere propagandistico e settario che si levano ogni volta che un fatto di sangue dovuto all’azione di un singolo individuo avviene negli Stati Uniti. La tradizione americana sull’uso libero delle armi ha una storia profonda risalente all’espansione verso il West nell’Ottocento da parte di grandi masse di pionieri. Il fatto è che questa tradizione si è tanto radicata da ostacolare ogni tentativo di modificarla in senso più controllato secondo i principi delle moderne democrazie occidentali. Né tantomeno conviene a tutti e due i partiti ¬¬– repubblicani e democratici – sfidare le lobbies delle industrie delle armi. È una questione ormai di primaria importanza che però non rappresenta l’unica spiegazione per le orrende stragi che si sono succedute soprattutto negli ultimi tre decenni. Regolamentare la vendita delle armi non sarà sufficiente per porre un freno alle stragi commesse da individui fanatizzati sulle più svariate questioni.
Potrà alla lunga far diminuire il numero di questi eccidi: alla lunga, perché sarà difficile “ripulire” la società americana dal possesso attuale di un grande numero di armi presente praticamente in ogni famiglia americana. A meno che non si voglia imporre agli americani in possesso di armi di consegnarle: una questione che solleverebbe un groviglio di problematiche giuridiche di difficile soluzione. Le stragi commesse per vari motivi ideologici e contro le minoranze presenti in America (latino-americani, ebrei, ecc.) esulano, in gran parte, dalla libertà di acquistare le armi; può in qualche modo facilitarle, ma il fanatismo ideologico, una volta messo a fuoco l’obiettivo da eliminare, non si ferma di fronte alla difficoltà di procurarsi le armi destinate all’offesa. L’altra questione, per la quale Trump viene accusato di razzismo, è il controllo delle frontiere tra Stati Uniti e Messico. Il caso, ormai da più tempo di grande rilevanza nazionale, dell’immigrazione dei latino-americani attraverso le frontiere del Messico è oggi oggetto di continue, roventi accuse dei democratici nei confronti di Trump. Si tratta di un caso di studio di primaria importanza, già affrontato da Samuel P. Huntington in un fondamentale libro del 2004 (Who Are We?), apparso in Italia con il titolo meno impegnativo di La nuova America. Le sfide della società multiculturale (Garzanti, 2005), titolo che attutisce il significato di carattere identitario che è alluso in quello in inglese. L’inizio del capitolo sull’immigrazione messicana è di immediato impatto politico: “L’immigrazione clandestina di massa negli Stati Uniti è un fenomeno successivo al 1965 e tipicamente messicano. […] Nel 1993, il presidente Clinton definì il traffico di immigrati clandestini in arrivo negli Stati Uniti ‘una minaccia alla sicurezza nazionale’. L’immigrazione illegale è, ancora di più, una minaccia alla sicurezza della società americana. Le forze politiche ed economiche che generano questa minaccia sono immense e incessanti. Nulla di simile è mai accaduto prima nell’esperienza americana”. Se quella descritta era la situazione nel 2004, anno di pubblicazione del libro di Huntington, è facile immaginare quale sia la realtà d’oggi. Inoltre, l’assimilazione è un processo assai più difficile per i messicani presenti negli Stati Uniti, anche a causa della prossimità del confine con il Messico e ai continui rapporti che intercorrono con i familiari e parenti al di là del confine. Comunque, l’immigrazione clandestina ha provocato una serie continua di problematiche sociali, che Huntington analizza con cura, tanto da concludere con quest’affermazione: “Un’analisi più dettagliata indica una bassa identificazione con l’America da parte degli immigrati messicani e, più in generale, degli americani di origine messicana. Di conseguenza, il controllo delle migliaia di chilometri del confine messico-americano è sempre stato un problema centrale nella storia americana, soprattutto, come si è detto, a partire dal 1965 ed oggi, più che mai, necessario per impedire il passaggio di quantità eccezionali di droga che invadono gli Stati Uniti e la stessa Europa: la costruzione del muro su quei confini è sempre stata un’esigenza stringente sentita da tutti i presidenti americani, compreso Obama, con buona pace di coloro che attaccano Trump facendo finta di dimenticare la politica di Obama, che fu dura nei confronti degli immigrati clandestini. Ma nessuno lo accusò di essere razzista. In conclusione, la lotta politica negli Stati Uniti si nutre oggi di falsità colossali, sia sul problema delle stragi, sia su quello del muro ai confini messico-americani. Trump ne fa le spese, ma la verità è che si tratta di fenomeni, come molti altri, che fanno parte della vita della società americana, quale che sia l’uomo che è alla Casa Bianca.
Antonio Donno