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Il Dubbio Rassegna Stampa
07.08.2019 Ripassare la Storia: 1919-2019, cento anni dopo la pace che aiutò l'avvento di Hitler
Commento di Paolo Delgado

Testata: Il Dubbio
Data: 07 agosto 2019
Pagina: 14
Autore: Paolo Delgado
Titolo: «Versailles, il trattato di pace che aprì le porte a Hitler»
Riprendiamo dal DUBBIO di oggi, 07/08/2019, a pag. 14, con il titolo "Versailles, il trattato di pace che aprì le porte a Hitler", il commento di Paolo Delgado.


Risultati immagini per versailles 1919
Una sessione della conferenza di pace di Versailles nel 1919

Doveva essere il primo anno di pace dopo una guerra tremenda, durata quattro anni e mezzo, cominciata senza che nessuno prevedesse a cosa stava andando incontro, diventata presto la peggiore di tutte le guerre. Per i soldati, se non per i civili, anche più terribile di quella che si sarebbe scatenata dopo vent'anni. Fu invece la solida base della nuova guerra, al punto che molti storici considerano ormai le due guerre mondiali una seconda "guerra dei trent'anni". Nel corso del conflitto però le cose erano cambiate radicalmente. Allo scontro tra potenze imperiali si era aggiunta, con la rivoluzione bolscevica dell'ottobre 1917, la guerra di classe. I decenni seguenti, e la guerra mondiale futura, sarebbero stati segnati da quello stesso intreccio fra la guerra tra potenze e quella tra modelli politici di società opposti. La rivoluzione che in Germania aveva deposto il kaiser e messo fine alla guerra aveva portato al potere, senza una vera legittimazione da parte di una popolazione a cui era stata spacciata come imminente la vittoria sino a un attimo prima della resa, i social-democratici. Un governo fragile che temeva la reazione ma era molto più preoccupato dall'esempio russo, dalla possibilità di una rivoluzione comunista. Ma una rivoluzione in Germania aveva come posta in gioco l'intera Europa. Era la carta sulla quale avevano scommesso sin dall'inizio i bolscevichi per rompere l'isolamento. Rosa Luxemburg , già dirigente della Lega di Spartaco, aveva presentato il programma del neonato partito comunista il 31 dicembre 1918. Appena4 giorni dopo scoppiava a Berlino una rivolta spontanea, che i leader comunisti, la stessa Rosa e Karl Liebknecht avrebbero evitato, se ne fossero stati in grado, considerandola destinata a un sanguinoso fallimento. I dimostranti berlinesi presero la mano ai capi, trasformarono le manifestazioni di protesta per la rimozione del capo della polizia della città Emil Eichhorn, reo di non essere intervenuto contro le manifestazioni del natale 1918, in un tentativo insurrezionale. Il presidente della Repubblica Ebert per alcuni giorni trattò, poi fece intervenire l'esercito. La carta vincente il governo socialdemocratico la giocò però quando il "commissario del popolo per l'esercito e la marina" Gustav Noske, chiese l'intervento dei Freikorps, i corpi franchi, le milizie militari di estrema destra. Entrarono a Berlino, repressero la rivolta nel sangue. Il 15 gennaio arrestarono Rosa e Libeknecht. Furono uccisi subito. Gli stessi Freikorps furono spediti, tra il 29 aprile e il 3 maggio, contro la "Repubblica bavarese dei Consigli". Entrarono a Monaco i13 maggio e il sangue versato, incluso quello di 800 prigionieri, fu anche più copioso che a Berlino. Ricorrendo ai Freikorps il governo socialdemocratico impedì che la rivoluzione di novembre potesse slittare verso una insurrezione comunista, ma così facendo rese ancor più fragile, ipotecata dalla destra estrema, segnata da odi insanati che si sarebbero rivelati più tardi esiziali la repubblica di Weimar. Il disastro fu però il trattato di Versailles. Il 18 gennaio si aprì la conferenza Versailles, che doveva trattare i termini della resa degli Imperi centrali. Sulla base dei 14 punti espressi l'anno precedente dal presidente degli Usa Wilson e della propria resa, la Germania immaginava di essere trattata meglio d quanto avesse trattato l'anno precedente la Russia con il trattato di Brest-Litovsk. Le condizioni imposte dagli alleati furono invece draconiane. Keynes, che partecipava alla conferenza di pace come delegato del Regno unito e che prevedeva con rara lucidità come sarebbe finita, parlò di "pace cartaginese". La Germania perdeva una porzione di territorio pari a 65mila km quadrati e 7 milioni di abitanti. Le riparazioni furono esorbitanti: la Germania ha versato l'ultima rata solo nel 2010. Le restrizioni riguardo le forze armate furono drastiche: l'esercito non poteva andare oltre i 100mila militari, la marina oltre i 15mila, l'aviazione militare era proibita. Inoltre la Germania doveva assumersi l'intera responsabilità della guerra, e pur essendo la meno materiale tra le condizioni di pace non fu affatto presa alla leggera dai tedeschi. Il cancelliere socialdemocratico Scheidemann si dimise pur di non firmare il trattato. Il presidente social-democratico Ebert considerò l'ipotesi di riprendere la guerra contro l'invasione che sarebbe certamente seguita alla scelta di non firmare. L'esercito stesso ammise di non essere in condizione di resistere a un'invasione. Il trattato fu firmato il 28 giugno e ratificato il 9 luglio. La frustrazione, la rabbia e la convinzione di aver subito una grave ingiustizia dei tedeschi fu la prima e principale ipoteca sulle possibilità di successo della Repubblica democratica e fu il carburante della macchina propagandistica nazista, che tenne sempre altissima la polemica contro "i traditori di novembre". Di pace, peraltro, si poteva parlare solo sul fronte occidentale. A est la guerra civile russa e la guerra del Baltico, che opponeva i Freikorps all'esercito rosso infuriava più che mai. In estate la vittoria era ancora in bilico. L'Armata rossa aveva sconfitto le truppe bianche del generale Kolchak, ma un'offensiva fallita in Ucraina aprì il varco all'avanzata dell'esercito di Denikin. Per due mesi, tra settembre e ottobre, i bolscevichi rischiarono il crollo. Si ripresero in parte per le divisioni delle armate bianche, che non disponevano di un comando centrale e non erano in grado di coordinare le loro operazioni, ma soprattutto perché i bianchi apparivano non come liberatori ma come restauratori dell'ordine zarista. Scelsero di difendere comunque la rivoluzione arruolandosi. In ottobre l'Armata rossa contava 3 milioni di soldati, aveva recuperato alcuni dei migliori ufficiali zaristi e lanciato la controffensiva decisiva. Anche in Italia la pace non portò con sé nessuna pacificazione. La crisi economica era gravissima, gli echi della rivoluzione russa incoraggiavano sia il Partito socialista che la sua ala rivoluzionaria. Lo sciopero generale del 20-21 luglio, con le sue suggestioni avviò quello che in seguito s sarebbe chiamato "il biennio rosso". L'inquietudine dei reduci rappresentava un ulteriore elemento di destabilizzazione. Il 23 marzo Benito Mussolini cercò di dare uno sbocco a quello che era stato l'interventismo di sinistra fondando in piazza san Sepolcro, a Milano, i Fasci di combattimento. La sinistra non rispose all'appello, i più duri e meno integrati tra i reduci, gli ex Arditi sì. Nelle elezioni di novembre, le prime con il sistema proporzionale, i Fasci non riuscirono a eleggere neppure un deputato. Reagirono al fallimento abbandonando le suggestioni rivoluzionarie e di sinistra, spostarono la barra verso destra, con il sostegno degli agrarie degli industriali terrorizzati dalla retorica rivoluzionaria, mai tradotta in concrete ipotesi insurrezionali del biennio rosso. La conferenza di Versailles, smentendo gli accordi precedenti di Londra e i 14 punti di Wilson, negarono all'Italia la Dalmazia e la città di Fiume. Quella che Gabriele D'Annunzio, in un celebre discorso, battezzò "la vittoria mutilata" moltiplicò frustrazione e disagio in un Paese che pur uscendo vincitore dalla guerra sembrava non poter capitalizzare alcun vantaggio dalla vittoria. In Italia, come in Europa e nel mondo, più che pace il 1919 fu una promessa di guerra.

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