Giorni fa mi colpė una lettera apparsa sul Jerusalem Post. Era di un padre, cittadino di Gerusalemme, che parlava del figlio sedicenne la sera dell'ultimo attentato al caffe' Hillel.
Momo, cosė si chiama il ragazzo, stava tornando a casa quando sentė l'esplosione e, senza pensarci un attimo, si mise a correre verso il luogo dell'attentato tirando fuori dallo zainetto i guanti di gomma che portava sempre con se' poiche' era un volontario del Maghen David Adom.
Momo, trovandosi la' vicino, fu tra i primi ad arrivare sul posto e incomincio' subito a soccorrere le vittime come gli avevano insegnato al corso paramedico, affiancato, dopo un paio di minuti dai volontari di ZAKA e dal perfetto apparato di emergenza israeliano.
La scena che si presento' agli occhi di Momo venne da lui descritta in seguito ai genitori e al fratello come qualcosa assomigliante all'Inferno di Dante: braccia e gambe in laghi di sangue, in mezzo alla strada c'era la testa di un uomo, pezzi di corpi umani erano sparsi dovunque.
I feriti furono fatti salire sulle ambulanze e in dieci minuti tutto era finito.
La mamma e il fratello di Momo, corsi a cercarlo, lo trovarono coperto del sangue delle vittime e se lo portarono a casa.
Il padre scrive: "arrivare a casa e trovare i vestiti di tuo figlio sporchi del sangue delle vittime di un attentato e' un esperienza che nessun genitore dovrebbe fare".
Momo, nel calore della sua famiglia, abbracciato al suo cane Lucy, tentava di ritrovare la sua adolescenza, la normalita' di un ragazzo di 16 anni che aveva appena visto quello che nessuno dovrebbe mai vedere nemmeno una volta nella vita.
Il giorno dopo, racconta il padre, Momo fu lasciato dormire, la sua insegnante telefono' dicendo che aspettavano Momo a scuola dove avrebbe potuto parlare con i suoi amici e raccontare quello che aveva passato perche' gli avrebbe fatto bene la vicinanza dei suoi compagni. E Momo ando' a scuola come tutti gli altri ragazzi di Gerusalemme, a scuola per parlare, per piangere insieme.
Sempre il giorno dopo, il luogo dell'attentato era stato completamente ripulito anche della minima goccia di sangue e nessuno avrebbe detto che poche ore prima la' c'era l'inferno, l'inferno di odio e di morte provocato da un ragazzo poco piu' grande di Momo.
Mentre accadeva tutto questo la televisione trasmetteva le scene di giubilo a Gaza e Ramallah.
Migliaia di adolescenti palestinesi festeggiavano in un delirio di felicita' i due attentati perfettamente riusciti a Zrifin e a Gerusalemme, migliaia di giovani palestinesi inneggiavano ai 15 morti innocenti, tra i quali c'era una ragazza di vent'anni che doveva sposarsi il giorno dopo. Il suo fidanzato, anziche' spezzare il bicchiere sotto la Khupa' ,in ricordo della distruzione del Tempio, ha deposto nella terra , vicino alla sua Nava , l'anello che doveva metterle al dito.
Due societa', due tipi di eroi: i nostri che cercano di salvare vite umane e i loro che cercano morte e distruzione.
Quello che lascia interdetti e' che esiste una terza societa', quella pacifista, che e' schierata tutta con gli ingegneri della morte, contro ragazzi come Momo, e che ieri era la', al Mukata, per esprimere amore e solidarieta' al capo dell'inferno dantesco che distribuiva baci e sorrisi ad una folla di giovani assetati di sangue. Vicino a lui i pacifisti. In Israele i funerali.