Riprendiamo da L'ESPRESSO di oggi, 04/08/2019, a pag.98, con il titolo "La strana guerra fra Trump e gli ayatollah" il commento di Bernardo Valli
Netanyahu all'ONU documenta il progetto dell'arma nucleare
Bernardo Valli non riserva mai sorprese, contrariamente a Gigi Riva, che nello stesso numero a pag.52 traccia un ritratto dell'Iran a molte facce, con riferimenti a Trump e Putin, con l'immancabile ostilità nel descrivere il ruolo di Israele. Nell'insieme però un voto tra il 5 e il sei, tenendo conto di quanto scrive abitualmente un passo avanti c'è.
Con Valli è invece la solita storia, equiparazione tra Iran e Usa, omissione della funzione delle sanzioni, apprezzamenti all'Iran moderato come se esistesse, Trump che fa dichiarazioni minacciose mentre l'Iran che vuole distruggere Israele e asservire gli Emirati del Golfo neanche una parola. Idem sulle iraniane guardie della rivoluzione, un esercito che terroriza - e spesso elimina- non solo gli oppositori, ma anche le coraggiose donne iraniane contro il regime che le opprime con leggi spaventose. Niente di tutto questo, per Valli fra l'Iran e Trump c'è soltanto una 'strana guerra', sarebbe questo l'esperto dell'Espresso e di Repubblica
Bernardo Valli
Ecco l'articolo:
La guerra c'è già, procede a singhiozzo, a bassa intensità: è asimmetrica perché il confronto è soprattutto tra eserciti tradizionali e guerriglie, ed è ritmato da incidenti periodici e limitati. Riesumando l'espressione con la quale si definì l'ambigua situazione di quiete e d'attesa, all'inizio del Secondo conflitto mondiale, si potrebbe dire che si tratta, sia pur in una dimensione assai ridotta, di una "drôle de guerre", di una "strana guerra", preambolo a una guerra vera. Oggi i protagonisti, gli avversari, il presidente americano Donald Trump e la Guida suprema iraniana Ali Khamenei, non sembrano tuttavia inclini a scatenare un ampio conflitto. Entrambi restano acquattati in una "strana guerra". Il passaggio a uno scontro aperto avrebbe imprevedibili conseguenze. Il primo, Trump, non vuole impegnarsi in un'impresa che potrebbe assumere dimensioni incontrollabili e dissuadere gli elettori americani dall'affidargli un nuovo mandato. Il secondo, Khamenei, è consapevole della fragilità iraniana di fronte alla superpotenza yankee. L'Europa assiste, quasi passiva, con una buona dose di incoscienza, alla crisi in corso ai confini, che investe seriamente i suoi interessi e che può minacciare la sua sicurezza. La situazione potrebbe sfuggire di mano tenendo conto dell'indisciplina, della temerarietà, dei regimi implicati. Non mancano gli alleati di Trump che esortano a intensificare il conflitto già cominciato, come testimoniano gli incidenti nel Golfo, lo scontro tra sauditi appoggiati dagli americani e gli insorti protetti da Teheran (Huthi) nello Yemen, e i puntuali interventi dell'aviazione israeliana e di quella americana contro le milizie iraniane presenti in Siria. Israele, alleato degli Stati Uniti, lo è di fatto, se non formalmente, anche dell'Arabia Saudita nel fronte anti iraniano. Alle origini della nuova vampata bellica in Medio Oriente c'è il ritiro degli Stati Uniti dal trattato sul nucleare iraniano sottoscritto nel luglio 2015, dopo anni di logoranti negoziati. Un accordo confermato in due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Donald Trump non si è limitato a dissociarsi dal trattato che il predecessore Barack Obama aveva sottoscritto: ha adottato una serie di sanzioni più severe di quelle in vigore prima del 2015, poiché riguardano tutte le imprese, comprese quelle non americane, impegnate in Iran. E impediscono a Teheran di vendere il suo petrolio e i suoi prodotti petrolchimici. Il motivo dichiarato per giustificare le sanzioni è stato all'inizio che gli ayatollah, nonostante l'impegno del 2015, continuavano nella loro attività nucleare con l'obiettivo di produrre armi atomiche. Gli enti internazionali incaricati della sorveglianza sulle attività nucleari hanno giudicato infondate le accuse di Donald Trump. Lui non ha tenuto conto del giudizio degli esperti neutrali. Adeguandosi alle ingiunzioni americane molte aziende europee hanno lasciato via via l'Iran. Alla fine d'aprile sono stati annullati i permessi, ancora concessi a qualche paese, di comperare petrolio iraniano. La morsa delle sanzioni si è stretta. Una settimana prima era stata decisa l'iscrizione delle Guardie della Rivoluzione sulla lista americana delle organizzazioni terroristiche straniere. Un mese dopo sono finiti sulla stessa lista la Guida della Rivoluzione e tutti i responsabili politici e militari che ha nominato. E poi arrivata la proibizione di esportare l'uranio arricchito e l'acqua pesante prodotti in eccedenza rispetto ai limiti fissati dall'accordo del 2015. Non è mancato infine il divieto di esportare il ferro, l'acciaio, l'alluminio e il rame. Trump conta ovviamente sulle sanzioni per piegare la teocrazia iraniana. Ma le sanzioni non hanno mai rovesciato un regime. Spesso hanno favorito una resistenza. Il presidente americano ha fatto tante dichiarazioni minacciose. Alla Nbc ha detto: «Non voglio una guerra, ma se dovesse accadere la distruzione sarebbe totale». Vale a dire che il presidente americano pensa a bombardamenti intensi su obiettivi militari e strategici iraniani. Trump ha tuttavia parlato molto, smentendosi puntualmente, al punto che è difficile dar peso alle sue parole. Non si vede, per ora, come la crisi possa spegnersi. Ma il cappio al collo dell'Iran non può essere stretto a lungo.
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