Riprendiamo da LIBERO di oggi, 30/07/2019, a pag. 13, con il titolo "II Califfo non cammina più: è paralizzato", il commento di Andrea Morigi.
Andrea Morigi
Fino a poche settimane fa, lo davano in Libia, ma ora pare che il leader dello Stato Islamico, Abu Bakr al-Bagdadi, non si sia mai mosso dalla Siria, anche perché è paralizzato agli arti e, non potendo muoversi autonomamente, ha limitato giocoforza i suoi spostamenti. Per il capo del dipartimento di intelligence del ministero degli Interni iracheno, Abu Ali Al-Basri, come riportano il quotidiano statale iracheno Al Sabaah e Al Jazeera, la paralisi ha colpito gli arti inferiori del Califfo a causa delle schegge dei proiettili che lo hanno ferito, causandogli lesioni alla colonna vertebrale oltre un anno fa, durante un'operazione militare compiuta vicino al confine con l'Iraq, nel sud-est del governatorato di Deir Al-Zour, da parte dell'intelligence irachena in coordinamento con l'aeronautica, prima della liberazione della città siriana di Hajin, avvenuta nel dicembre del 2018. Al-Basri ha sottolineato che il leader dell'Isis gode tuttavia ancora di una forte influenza e fedeltà fra i suoi seguaci, ancora oggi di diverse nazionalità; nell'ultimo periodo, Al Bagdadi si è impegnato a fronteggiare minacce di infiltrazioni tra i suoi ranghi e ha sostituito gli operativi uccisi in Iraq e Siria, adattandosi al nuovo contesto post-califfato.
Abu Bakr al Baghdadi
MINACCIA ALLA TUNISIA Scomparso dagli schermi, Baghdadi era riapparso il 29 aprile scorso in un video di 18 minuti, il primo dal 2014, in cui celebrava le stragi di Pasqua in Sri Lanka ed esortava gli accoliti a compiere nuovi attentati come ritorsione per la sconfitta dell'Isis in Siria L'Isis era poi tornata a minacciare la Tunisia a metà luglio, con la diffusione di un video in cui si vedono uomini incappucciati e armati di pistole che giurano fedeltà al leader Al Bagdadi, e invitano a «diffondere il terrore» nel Paese nordafricano. Il video, circolato nella notte tra il 16 e il 17 luglio sul canale del servizio di chat Telegram dell'organizzazione jihadista, è firmato dall'«ufficio media dello Stato Islamico in Tunisia», e viene presentato come girato in Tunisia «I vostri soldati e i vostri figli nella terra di Kairouan stanno andando bene», ha detto uno di loro, che si definisce Abu Omar al-Tunsi, ovvero "II tunisino", rivolgendosi a Bagdadi. La città santa di Kairouan, nella Tunisia centrale, è nota per ospitare la più antica moschea del Maghreb. Nella clip, un altro jihadista, soprannominato Abu Khaled al-Tunsi, si rivolge ai fedeli chiedendo di «diffondere il terrore» in Tunisia II 27 giugno scorso, Tunisi era stata colpita da un doppio attentato kamikaze, rivendicato dall'Isis, costato la vita a due persone, un agente e un civile, oltre che ai terroristi.
LA SORTE DEI RAPITI Un tentativo di stanarlo, passa per la ricerca di notizie sulle sue vittime. Per questo il ministero della Giustizia americano il 23 luglio ha offerto 5 milioni di dollari di ricompensa per chi possa fornire informazioni su cinque religiosi cristiani, tra i quali anche padre Paolo dall'Oglio. I cinque - che risultano tutti rapiti dall'Isis fra il febbraio e il luglio 2013, in Siria - sono, oltre al gesuita italiano sparito a Raqqa nella notte tra il 28 e il 29 luglio del 2013, il prete greco-ortodosso Maher Mahfouz, l'arcivescovo siriano-ortodosso Gregorios Ibrahim, l'arcivescovo greco-ortodosso, Boulos Yazigi e Michael Kayyal, un sacerdote cattolico armeno. «Speriamo che qualcosa si muova», è il messaggio che arriva dalla famiglia Dall'Oglio, che non ha mai perso la speranza, durante la conferenza stampa organizzata ieri mattina nella sede dell'Associazione della Stampa Estera a Roma «E un qualcosa che riaccende la speranza», dice la sorella del gesuita, Francesca Dall'Oglio, secondo la quale «la notizia è stata «una grande sorpresa», insiste. «Sappiamo che per Paolo e i vescovi c'è il silenzio totale - osserva - Forse cinque milioni di dollari possono inceppare qualche meccanismo di silenzio», ma chiede anche «maggiore trasparenza» e «coordinamento» a sei anni dal rapimento e « che si riesca a sapere di più, che le notizie vengano condivise poiché padre Paolo «aveva denunciato questioni di guerra, armamenti, cose importanti e poteva essere dentro a un gioco più grande di lui».
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