Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/07/2019, a pag.3 con il titolo 'Più rispetto per i rifugiati' l'intervista di Francesco Semprini a Charlie Yaxley, portavoce di Unhcr per il Mediterraneo e l'Africa.
A destra: nel frattempo l'Onu...
Il portavoce di Unhcr (Agenzia Onu per i rifugiati, ecco il link all'analisi di Deborah Fait su IC, quando Israele è stata accusata di razzismo verso le donne, unico paese! http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=70&id=75425) per il Mediterraneo e l'Africa Charlie Yaxley dice solo banalità e frasi generiche sull'accoglienza. L'intervista è però utile per capire il livello a cui è arrivata l'Onu e le sue agenzie. L'Onu è ormai ostaggio della maggioranza dei Paesi che ne sono membri, che esprimono politiche terzomondiste a oltranza, indifferenza di fronte ai regimi criminali e terroristi e condanne a ripetizione dell'unica democrazia del Medio Oriente, Israele.
Ecco l'articolo:
Francesco Semprini
Charlie Yaxley, portavoce di Unhcr per il Mediterraneo e l'Africa
Charlie Yaxley, portavoce di Unhcr per il Mediterraneo e l'Africa e funzionario dell'unità di pubblica informazione dell'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati, ancora un'emergenza che divide, che rischi si profilano? «La vicenda della nave Gregoretti della Guardia costiera italiana offre una serie di spunti di riflessioni cruciali. Innanzi tutto occorre dire che si deve evitare ciò che è accaduto nel recente passato con altre imbarcazioni che trasportavano migranti salvati in mare. La sicurezza dei rifugiati che fuggono da situazioni terribili è prioritaria. Al contempo però si deve comprendere che certi Paesi come Italia, Spagna e Grecia sono sottoposti a pressioni notevoli per il fatto che sono quelle esposte a questo fenomeno».
Come gestire questi due fattori in maniera compatibile? «Non ci può essere altra soluzione se non quella di riunire attorno a un tavolo tutti i Paesi europei per individuare soluzioni condivise ed eque ispirate al principio del rispetto umanitario e della comprensione».
Questo però sino ad oggi non è avvenuto? «C'è una mancanza di oggettività nel dibattito sul Mediterraneo, specie in alcune parti dell'Europa. Spesso il confronto sul tema dei rifugiati viene usato come strumento politico e pertanto sfugge a una sua interpretazione chiara. I flussi dei migranti che provengono dalla Libia sono nettamente diminuiti negli ultimi anni, ci troviamo di fronte a un fenomeno che è perfettamente gestibile ed è possibile una soluzione condivisa e ispirata al rispetto umanitario».
L'errore è anche nel fatto che ci si concentra sui flussi dei traffici e si trascura la ricerca di una soluzione ai problemi della Libia? «La stabilizzazione della Libia è centrale. Il fatto che le persone si imbarchino sui barconi affrontando pericolose difficoltà per raggiungere l'Europa è conseguenza di un fallimento politico. È necessario raggiungere un accordo di pace nel Paese, e qui ritorniamo al discorso sull'Europa. I Paesi che hanno una certa influenza sulle parti libiche devono utilizzarla per agevolare un processo di pace e rilanciare il dialogo».
Teme quindi che con la prosecuzione delle ostilità le partenze proseguiranno e ci saranno altre tragedie nel Mediterraneo? «Nel 2019 sono morti già 700 migranti e temo che se la guerra proseguirà e non ci sarà una risposta unitaria e umanitaria all'emergenza rischiamo di raggiungere presto quota mille. È importante quindi che ognuno dia il proprio contributo per avviare una discussione pragmatica sul questo tema».
Ritiene che sia necessario allargare questo dialogo anche ad altri attori oltre all'Europa? Penso ad esempio ai Paesi africani. «Si deve andare verso quella direzione. Ogni contributo è senza dubbio importante, è un percorso lungo ma siamo in possesso degli strumenti per gestirlo. In questo senso ci troviamo davanti a un'importante opportunità».
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