Riprendiamo da DOMENICA-IL SOLE24ORE di oggi, 28/07/2019, a pag.26 con il titolo "Il punto di vista ebraico della nostra cultura" il commento di Giulio Busi
Giulio Busi
Pensate a tipi come Matusalemme, coni suoi novecentosessananove anni. Oppure, ricordatevi del detto rabbinico, secondo cui un giorno del Santo, sia Egli benedetto, equivale a mille anni sulla terra. Del resto, una simile dilatazione temporale la troviamo anche nel Nuovo Testamento, nella Seconda lettera di Pietro, ove si legge «Ma quest'unica cosa non sia nascosta a voi, carissimi: che un giorno presso il Signore è come mille anni e mille anni come un giorno». L'ebraismo dura da millenni, e può ben dire di abbracciare entro i suoi confini un tempo a tratti remotissimo, eppure sempre ripercorso, ricordato, riattivato nella memoria collettiva. Per chi sia abituato a confrontarsi con questa cultura, pochi decenni possono apparire quasi insignificanti. Eppure, i quarant'anni dell'Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (AISG) sono una ricorrenza significativa. I tredici docenti universitari, che si riunirono nel 1979 davanti a un notaio di Bologna per dar vita all'Associazione, sarebbero stati felici di sapere che il loro campo di studi, allora così specialistico, avrebbe catturato, nei lustri successivi, l'attenzione e l'energia della società italiana. Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, il trauma delle persecuzioni e delle deportazioni era ancora ben vivo. La tradizione di studiosi ebrei, che avevano caratterizzato lo studio del giudaismo nel nostro Paese fino al 1938, era stata forzatamente interrotta. Emigrati parecchi ricercatori, come il grande Umberto Cassuto. Depauperato, o disperso, il patrimonio librario e archivistico delle Comunità ebraiche. Degradate, o abbandonate non poche sinagoghe. A occuparsi di ebraismo, nell'accademia italiana erano davvero in pochi, per lo più provenienti da studi teologici e biblici, e di formazione cristiana. Ci volle la determinazione di Paolo Sacchi, professore di Filologia biblica all'Università di Torino, e del gruppo di filologi e storici che si raccolsero attorno a lui, per capire che l'ebraismo aveva, nella nostra Penisola, bisogno di nuova linfa di studi e di rinnovate energie. L'AISG, nata in sordina e quasi per scommessa, si è progressivamente affermata come un luogo d'incontro e di collaborazione, senza barriere confessionali, nel nome della ricerca scientifica. Il legame con l'Università, strettissimo all'inizio, è rimasto. Ma si è anche intensificato quello con le istituzioni ebraiche, comunitarie e di ricerca, rifiorite anch'esse in attività e incisività, e con la società civile. È stata questa una scelta volontaria e, allo stesso tempo, una necessità di sopravvivenza. In quarant'anni, l'Università italiana è riuscita a sostenere e ad assorbire solo una piccola parte delle energie e delle curiosità che s'indirizzavano all'ebraismo. Storia locale, studi linguistici, mistica, letteratura in lingua ebraica e nei vari idiomi della diaspora, storia economica, arte, non c'è campo del sapere in cui il "taglio ebraico" non sia importante, spesso essenziale. I risultati parlano in modo eloquente: gli studi ebraici, in Italia, sono all'avanguardia a livello internazionale. Questi successi si devono solo in parte al supporto pubblico. Piuttosto, l'eccellenza è il frutto d'impegno personale, d'idealismi, di dedizione disinteressata, dell'arte di fare con il poco (o nulla) che c'è, ovviando con l'intelligenza e con moltissimo lavoro. Sono decine i ricercatori italiani di temi ebraici sparsi per il mondo, e ancora più numerosi quelli che in Italia lavorano per pura passione, senza supporto accademico o solo con sostegni minimi. La maggior parte di loro si sono formati anche attraverso le decine di convegni organizzati dall'AISG o hanno scritto su «Materia giudaica», la rivista dell'Associazione, diretta, nell'ultimo ventennio, dall'infaticabile Mauro Perani. In tempi di disimpegno pubblico, quando le strutture "pesanti" stentano a offrire prospettive e adeguata capienza, un'associazione culturale, povera di mezzi ma flessibile nelle strategie e non burocratizzata, può, almeno in piccola parte, limitare i danni, e offrire spazi di dialogo. Per chi investa la propria vita nello studio, a dispetto di qualsiasi considerazione di convenienza economica e sociale, la possibilità di trovare compagni di viaggio, con le stesse utopie e lo stesso amore perla precisione e la verità scientifica, è una ricompensa e una gioia. Mille associazioni non fanno certo, da sole, una nazione culturalmente all'avanguardia. Ma aiutano la società a restare civile e vitale. Altri quarant'anni per AISG? Perché non altri novecentosessanta, così da completare un giorno di lassù? Matusalemme è avvertito.
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