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Italia Oggi Rassegna Stampa
27.07.2019 Quei conti che la Germania non ha mai fatto
Analisi di Roberto Giardina

Testata: Italia Oggi
Data: 27 luglio 2019
Pagina: 14
Autore: Roberto Giadina
Titolo: «La Shoah attraverso una faccia»

Riprendiamo da ITALIA OGGI del 27/07/2019, a pag.14, con il titolo "La Shoah attraverso una faccia" il commento di Roberto Giardina

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Roberto Giardina

Per andare nella mia palestra percorro a piedi tre volte la settimana la Gervinusstrasse, bella strada alberata lungo la ferrovia, dedicata allo storico Georg Gottfried Gervinus nel 1907, l'anno in cui nacque mio padre, suo collega. Su circa 400 metri ho contato 42 stolpersteine, le pietre d'inciampo che ricordano gli ebrei finiti nei lager, e sulla facciata al numero 30 hanno posto una lapide che ricorda il signor Kurt Messerschmidt e 30 suoi coinquilini spariti ad Auschwitz.
In poche decine di metri, 73 vittime. L'altra settimana davanti a un portone ho notato un piccolo assembramento, hanno posto un fascio di rose bianche aperte a ventaglio intorno a due pietre, marito e moglie. Dieci giorni dopo, i fiori sono ancora lì sul marciapiede. Rose avvizzite, e nessuno le ha spazzate via. Non so che fine avrebbero fatto in una via di Roma. Quasi ogni giorno compaiono articoli sull'anniversario dell'attentato fallito contro Hitler, il 20 luglio del `44, e recensioni di biografie su uno dei protagonisti, Claus von Stauffenberg. A volte per comprendere la Shoah, e la morte dei milioni di ebrei, serve di più raccontare la storia di uno di loro, un ebreo che preferì il suicidio per sfuggire ai nazisti, come ha deciso di fare il settimanale Die Zeit. Il ricco commerciante di caffè Eduard Lassally, 85 anni, si annegò nell'Alster, il lago al centro di Amburgo, a pochi metri da dove ho abitato per sei anni. Un luogo idilliaco. Un canoista scoprì il corpo nel canneto sotto riva, dilaniato dalle eliche di un battello. Pochi giorni dopo, un suo impiegato, Hans Kroll, riconobbe i resti di Lassally. La sua famiglia aveva fatto in tempo a fuggire all'estero, tranne la sorella Louise. Lui aveva perso tutto, espropriata la ditta di importazione, e confiscate tutte le case. Una storia come tante degli ebrei, ma di cui si preferisce tacere, anche se Amburgo fu la città che meno seguì il Führer.
Chi oggi tentasse di ricostruire negli archivi cittadini la fine che fecero le proprietà di Lassally si scontrerebbe con «una gelida mancanza di umanità», scrive il settimanale, confusa in un intrico di complicità oscure di cui è colpevole anche l'amministrazione. Dopo il 1945, nessuno di quanti approfittarono delle proprietà confiscate ai concittadini ebrei è stato punito o gli è stato chiesto almeno conto del suo comportamento. La ditta di Eduard Lassally era stata fondata dal padre Theodor nel 1877. Il 24 novembre del 1937, il commissario per l'arianizzazione Otto Wolff annota: «L'ebreo Lassally si è dichiarato disposto a vendere di sua volontà la sua ditta all'ariano Werner Ihnen...». La cifra non è certa, sembra che si sia aggirata sui 200 mila reichsmark, ma furono depositati su un conto bloccato. Il 31 maggio, i conti di Lassally, e di altri ebrei anseatici, vennero confiscati. L'impiegato Hans Kroll anni dopo riferì che Eduard Lassally aveva dovuto consegnare due camion con tutti i suoi beni, mobili, quadri, argenteria alle autorità. Nel dicembre del `38, Lassally era stato obbligato a versare 73.733 marchi come contributo al Reich. Per un confronto, lo stipendio mensile di un funzionario pubblico ammontava a 500 reichsmark.In quell'anno, furono registrate 2.400 proprietà di ebrei ad Amburgo. Il figlio Oswald riuscì a mettersi in salvo in Brasile. Il fratello Paul fu sorpreso ad Amsterdam dai nazisti, e venne deportato ad Auschwitz, dove morì nel 1943. La moglie Else e i due figli Irene e Peter riuscirono a sopravvivere ed emigrarono negli Stati Uniti. Gli eredi hanno tentato invano di essere risarciti nel dopoguerra. Ihnen, che aveva rilevato la ditta ma senza mai pagarla realmente, nel 1962 fu inviato come rappresentante degli importatori di caffè anseatici a una conferenza internazionale. Otto Wolff, che diresse l'esproprio dei beni ebrei, fu licenziato dall'amministrazione pubblica, ma non subì alcuna condanna. Continuò a lavorare come imprenditore. Non basta disseminare le strade di pietre d'inciampo per fare i conti con il passato, o dedicare ore in tv ogni anno agli attentatori sfortunati del 20 luglio.

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