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La Stampa Rassegna Stampa
26.07.2019 Usa, ritorna la pena di morte. Alcune domande sulla natura dell'essere umano
Cronaca di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 26 luglio 2019
Pagina: 10
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Trump rimette in azione il boia, dopo 16 anni torna la pena di morte»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/07/2019, a pag.10 con il titolo "Trump rimette in azione il boia, dopo 16 anni torna la pena di morte" la cronaca di Paolo Mastrolilli

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Siamo cresciuti nella profonda convinzione che la pena di morte rappresentasse il fallimento del concetto di giustizia, la vittoria della vendetta contro un essere umano ormai incapace di fare ancora del male. Abbiamo letto libri e visto film che hanno radicato nel nostro modo di pensare quanto la pena di morte dovesse essere un ricordo di un passato orribile. A irrobustire la nostra convinzione hanno dato un forte aiuto la nobiltà delle idee pacifiste che, lo credevamo fortemente, avevano nel dopoguerra creato quanto l'idea di progresso fosse strettamente legata alle nostre democrazie. Anche quella ideologia della "banalità del male",che oggi giudichaiamo ben diversamente, ci aveva convinto che soltanto credere nella vittoria del bene avrebbe risolto la convivenza civile fra gli esseri umani su questa terra. Già, gli esseri umani, ma non lo erano anche i condannati al Processo di Norimberga degli 'esseri umani'? Eppure fu giusto condannarli a morte, come fu giusto condannare a morte Eichmann dopo un regolare processo a Gerusalemme.
Questa decisione americana ci obbliga a tornare su alcuni interrogativi che credevano sepolti per sempre. Sulla nostra natura di 'esseri umani'.
Domande che ci poniamo noi che viviamo in paesi democratici, la pena di morte nei paesi dittatoriali non rientra in questa breve nota.

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Paolo Mastrolilli

L’amministrazione Trump torna a praticare la pena di morte nelle carceri federali, interrompendo quella che in sostanza era diventata una moratoria in vigore da 16 anni. Lo ha annunciato il segretario William Barr, con questo comunicato: «Il dipartimento alla Giustizia applica lo stato di diritto, e noi dobbiamo alle vittime e alle loro famiglie l’esecuzione delle sentenze imposte dal nostro sistema giudiziario». In base agli ordini di Barr, tra dicembre e gennaio prossimo nel penitenziario di Terre Haute, Indiana, verranno giustiziati cinque condannati, di cui tre bianchi, un nero e un indiano. Si tratta di Daniel Lewis Lee, colpevole dell’omicidio di una famiglia di tre persone fra cui una bambina di 8 anni; Lezmond Mitchell, per l’omicidio di una donna di 63 anni e la sua nipote di 9; Wesley Ira Purkey, per lo stupro e l’omicidio di una sedicenne; Alfred Bourgeois, per aver torturato e ucciso la propria figlia di 2 anni; Dustin Lee Honken, per l’omicidio di cinque persone, tra cui due giovani ragazze. Il segretario ha stabilito che tutti verranno giustiziati con l’iniezione letale, usando il pentobarbital. Trump in passato aveva detto che voleva riprendere le esecuzioni, e quindi questa è una sua decisione. Barr l’ha motivata con la necessità di applicare le leggi, e il dovere di farlo nei confronti delle vittime e dei loro famigliari, ma come sempre in questi casi ci sono forti ragioni politiche dietro alle scelte. La pena di morte è sempre stata popolare negli Usa, per vari motivi. Alcuni hanno una radice laica, basata sulla necessità di garantire giustizia e sicurezza in un paese di frontiera, mentre altri hanno un’origine religiosa, nella lettura dei passaggi della Bibbia dove si parla di «occhio per occhio, dente per dente». Negli ultimi tempi il sostegno per le esecuzioni era diminuito, passando dal picco dell’80% nel 1994, al livello più basso del 49% del 2016. Ciò era successo per vari motivi, che andavano dai cambiamenti culturali in corso nel paese, a problemi più tecnici come le condanne degli innocenti, le disparità razziali e sociali tra chi veniva giustiziato o risparmiato, l’inutilità riconosciuta ai fini della prevenzione del crimine, la difficoltà di avere i veleni per le iniezioni perché nessuna azienda voleva più produrli. Da quando Trump è diventato presidente l’approvazione della pena di morte è risalita al 54%. Le condanne e le esecuzioni vengono gestite a livello statale e federale. Negli ultimi anni diversi stati hanno abolito o sospeso la pena di morte, che resta in vigore in 29, ma è sospesa in 4. In totale ci sono circa 2.600 condannati a morte, con la California al primo posto, ma le esecuzioni sono scese da 98 nel 1999 ad una media di circa venti. A livello federale ci sono 62 persone nel braccio della morte, ma da quando nel 1988 la pena di morte è tornata in vigore, solo tre sono state uccise. L’ultimo è stato Louis Jones, veterano Guerra Golfo, giustiziato nel marzo del 2003 per il rapimento e l’omicidio della soldatessa diciannovenne Tracie McBride. Da allora, cioè sotto l’amministrazione repubblicana di Bush figlio, le esecuzioni federali si sono fermate, anche se le condanne sono proseguite, come nel caso di Dylann Roof. Secondo i dati del Pew Center, la pena di morte è molto popolare tra i repubblicani, con il 77%, e poco tra i democratici, con il 35%. Ciò spiega la motivazione politica che ha spinto Trump, insieme alla volontà di dare soddisfazione alla sua base evangelica, che dà ancora peso alle giustificazioni religiose delle esecuzioni. Nell’agosto scorso invece la Chiesa cattolica ha modificato il catechismo e dichiarato che «la pena di morte è inammissibile», marcando così una nuova divergenza profonda con l’amministrazione Usa

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