Paolo Mastrolilli
Donald Trump potrebbe perdere le presidenziali del 2020 per 5 milioni di voti, ma conquistare comunque un secondo mandato alla Casa Bianca, grazie al vantaggio nel collegio elettorale. È lo scenario da incubo per i democratici, di cui però hanno scritto insieme «Nbc», «Cook Political Report» e «New York Times».
Nel 2016 Hillary aveva preso 2,9 milioni di preferenze in più a livello nazionale, ma aveva perso la presidenza perché Donald aveva ottenuto 306 voti elettorali contro 232. Lui aveva denunciato brogli non documentati, e aveva detto che se la Casa Bianca non si fosse giocata nel collegio elettorale, avrebbe fatto una campagna diversa focalizzata su altri stati. La verità è che i democratici sono maggioranza nel paese, soprattutto grazie all'aumento delle minoranze come quella ispanica, da cui nasce l'accanimento dei repubblicani contro l'immigrazione illegale e legale, e in parte anche la strategia dei tweet razzisti. Significativo, poi, è il fatto che secondo le stime di Brookings le contee vinte da Hillary producevano il 64% del Pil nazionale, cioè quasi due terzi, contro il 36% di quelle di Trump. I padri fondatori avevano voluto che il nome del presidente fosse deciso dal collegio elettorale, per due motivi: primo, convincere gli stati più piccoli e meno popolati ad entrare nell'unione; secondo, mediare gli istinti del popolo di cui non si fidavano, con la saggezza dei grandi elettori. Nessuno di questi motivi oggi ha più senso, ma il Gop non consentirà di riformare il sistema basandolo sul voto nazionale, perché sa che resterebbe fuori dalla Casa Bianca a tempo indeterminato.
Donald Trump
Questa situazione favorisce Trump, nonostante il suo gradimento sia rimasto quasi sempre sotto il 50%. Brad Parscale, manager della sua campagna di rielezione, sostiene che potrebbe anche aumentare il distacco nel collegio elettorale, togliendo ai democratici New Hampshire, New Mexico, Nevada, e forse Minnesota. Ciò accade perché la maggioranza degli oppositori è forte, e si sta rafforzando, in stati come California o New York, dove la loro vittoria è scontata. Quindi è inutile ai fini della conquista della Casa Bianca.
Nel 2016 Trump ha vinto grazie a tre stati: Pennsylvania, conquistata con uno scarto dello 0,7%; Michigan, 0,2%; e Wisconsin, 0,8%. Nel 2020 potrebbe permettersi di perdere i primi due, ma conservando il terzo e tutti gli altri stati vinti quattro anni fa, otterrebbe il secondo mandato grazie ad un vantaggio di 2 voti elettorali, pur perdendo al livello nazionale con una differenza di 5 milioni di preferenze. Il più grande incremento di popolazione non bianca, ossia la base democratica, è avvenuto in California con 1.585.499 persone, mentre i bianchi che votano Trump sono diminuiti di 162.715 unità. Ma tutto ciò serve solo ad aumentare il distacco nazionale, senza cambiare di una virgola il risultato del collegio elettorale. Anche il Texas ha aggiunto 1.188.514 non bianchi, contro 200.002 bianchi, ma la differenza di 800.000 voti in favore dei repubblicani registrata nel 2016 protegge ancora il vantaggio di Donald. Negli stati della «Rust Belt» l'immigrazione ispanica è meno forte e la guerra dei dazi è popolare, mentre in Florida la numerosa componente cubana aiuta il presidente, che perciò ha cancellato le aperture di Obama a L'Avana. L'Arizona balla, e potrebbe rimpiazzare il Wisconsin a favore dei democratici, ma i margini sono ridotti.
I democratici pensano che se riusciranno a riportare alle urne tutti i loro elettori, come è accaduto nelle elezioni midterm del 2018, vinceranno comunque, ma Trump non era su quelle schede e nelle presidenziali le dinamiche cambiano. Al netto di potenziali sorprese, tipo una guerra con l'Iran, i fattori decisivi sembrano al momento due: il candidato dell'opposizione, e l'economia. Se il Pil continua a crescere e la disoccupazione a scendere, battere il presidente in carica diventa proibitivo; se frena, molto può mutare.
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