Riprendiamo dal SECOLO XIX di oggi, 22/07/2019, a pag. 1, con il titolo "Razzismo, la parola inflazionata che fa paura", il commento di Peppino Ortoleva.
L'analisi della parola "razzismo" di Peppino Ortoleva sarebbe perfetta, se l'unico esempio riportato non fosse quello del tweet di Donald Trump contro le quattro deputate democratiche estremiste. E' segno della deriva del pensiero politicamente corretto se perfino una persona intelligente come Ortoleva cita soltanto Trump come "razzista", omettendo di considerare il razzismo di destra, di sinistra, quello islamista o quello declinato come antisemitismo.
Ortoleva, in gioventù militante di Lotta Continua, ha sempre preso posizioni indipendenti, persino dall'ideologia del movimento cui apparteneva. Da ribelle è poi diventato anche lui docente universitario, al posto dei 'baroni' che da studente aveva combattuto. Se ci legge, ci auguriamo che onori la sua intelligenza e capisca quanto l'isolata citazione di Trump sia fuori luogo, anche perchè le cose tra lui e il quartetto dem non sono andate come la propaganda anti-Trump ci ha raccontato.
Ecco l'articolo:
Peppino Ortoleva
Ci sono parole, nella vita politica attuale, che stanno perdendo qualsiasi significato, perché ciascuno le piega a suo piacimento o perché sembrano diventate degli epiteti, delle ingiurie, e come è inevitabile in questi casi si rimpallano da una parte all'altra diventando sempre più vuote. È quello che sta succedendo, per esempio, con la parola razzismo, che pure avrebbe in sé un significato preciso e carico di storia: indica coloro che, primo, dividono l'umanità in gruppi o "razze" non riconducibili a una natura comune, secondo, ritengono che la loro "razza" sia superiore alle altre. Se si presta orecchio alle discussioni di questi giorni, negli Usa come in Italia, i razzisti praticamente non esisterebbero: nessuno o quasi accetta di essere definito tale, neppure quando fomenta esplicitamente l'ostilità verso le minoranze. «Non ho neppure un osso del mio corpo che sia razzista», ha dichiarato Trump, subito dopo avere sostenuto con violenza che quattro deputate democratiche di diverse origini (tre delle quali nate negli Usa) dovrebbero essere «rimandate nei paesi da cui vengono». Il problema non è solo la contraddizione tra quell'affermazione e la propaganda che Trump conduce, è anche che, se prendiamo la parola sul serio, non c'è nessuno che possa sostenere di «non avere neppure un osso che sia razzista». Il pregiudizio, quello dei "bianchi" verso le minoranze come pure di membri delle stesse minoranze le une contro le altre, è talmente radicato nella nostra cultura e nel "Razzismo", la parola scomoda che nessuno Vuole riconoscere Razzismo, la parola inflazionata che fa paura la nostra vita sociale che è impossibile ritenersene del tutto immuni.
Altro che "un osso": anche le persone meglio intenzionate debbono rendersi conto che il razzismo è una tentazione sempre in agguato dentro tutti. E combatterlo con determinazione soprattutto per quello. Il fatto è che la parola razzismo ha subito un processo di svuotamento, come del resto accade anche a tante altre. Per esempio tutti fanno a gara a dichiararsi democratici proprio mentre la vita dei partiti diventa sempre più centralizzata e controllata dall'alto. Per esempio tutti si richiamano al popolo, quello che in teoria dovrebbe essere il fondamento stesso del nostro sistema politico, ma basta aggiungere una desinenza come "ismo", e si ha "populismo": che implica non solo l'esistenza di leader demagoghi, ma anche di un popolo degradato a plebaglia dominato dai bassi istinti. Eccetera. Nel libro 1984 che è diventato il simbolo di un possibile totalitarismo senza vie d'uscita, George Orwell immaginava una "neolingua", in cui molte parole assumevano un significato opposto a quello originario: abbondanza stava per povertà pianificata, verità stava per propaganda e così via. Un sistema per impedire ogni pensiero che contrastasse con il regime. Quello che sta succedendo con parole come razzismo può sembrare simile, ma c'è una differenza fondamentale: non è uno stato totalitario a imporre il suo linguaggio distorto, c'è uno svuotamento spontaneo, quanto graduale e inesorabile. La sua prima causa è l'inflazione: come accade con la moneta, l'uso eccessivo di una parola la impoverisce sempre più di senso, ismo nei casi più estremi a renderla simile a un flatus vocis, un'emissione di respiro priva di vero contenuto. E poi viviamo in una cultura nella quale anche le notizie sembrano sempre più impossibili da dimostrare, sempre più facili da negare da parte di chi le trova scomode, o non consone con le sue opinioni. Se questo è possibile peri fatti, lo è tanto più per termini che contengono in sé un giudizio. Quanto è più facile rispondere "razzista sarai tu" che dimostrare di non esserlo, o riconoscere di esserlo. Il risultato di questo processo di usura spontanea può sembrare molto meno grave dell'azione della "neolingua" totalitaria di Orwell, ma non va sottovalutato. La politica, proprio perché vive di opinioni diverse, richiede al tempo stesso che queste riescano a confrontarsi, anche per chiarire in che cosa stiano le loro differenze. Se il vocabolario si svuota, se tutto diventa uguale a tutto, è più facile trasformare qualunque dibattito in una gara a chi urla più forte, e privare i cittadini degli strumenti per una scelta razionale.
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