Prigionieri del 'pensiero unico'
Commento di Diego Gabutti
Armati di torce e forconi, come i contadini nelle scene finali di Frankenstein, i giustizieri del politicamente corretto non hanno dubbi di sorta: al pari del Castello maledetto, nel quale il Barone Imbriglia i Fulmini e Rianima i Cadaveri, anche la Casta dei Nemici delle Minoranze dev’essere data alle fiamme mentre intorno ululano i lupi, e su in cielo, più gialla e sinistra che mai, campeggia una luna esageratamente piena.
Un tempo, quando le cose giravano male, la colpa ricadeva a colpo sicuro sulle minoranze: gli ebrei, i borghesi, gli artisti degenerati, le suffragette, i gay, i massoni. Era per loro che si metteva mano a picche, forconi, camere a gas, campi di rieducazione, plotoni d’esecuzione e codici penali orwelliani.
Oggi la colpa ricade per intero sui Nemici delle Minoranze. Tra i quali non sono compresi soltanto i bigotti conclamati, i razzisti, gli omofobi, le teste bacate, i criminali di guerra, gli assassini psicopatici, ma anche o meglio soprattutto i liberali, gli alfabetizzati, i lettori di buoni libri, i QI sopra la media, i competenti. (Una sola eccezione: è consentito essere antisionisti. A questi particolari nemici d’una minoranza è data licenza d’appiccare roghi). Si diventa Nemici delle Minoranze con poco, e quasi sempre per sbaglio: una parola «fuori luogo» a casa o in ufficio, una battuta di spirito poco rispettosa se non addirittura (dio non voglia) una barzelletta «di cattivo gusto», uno sbadiglio o una scrollata di spalle al momento sbagliato e, peggio di tutto, un’opinione inopportuna dal sen fuggita.
Casi eccezionali a parte, tipo il Ku Klux Klan o il Blog delle Stelle, non si è nemici di questa o quella minoranza oppressa ventiquattr’ore su ventiquattro, ma solo ogni tanto, e di solito per caso, senza impegno. Misogini, omofobi, «negrofobi» e islamofobi a orario continuato sono soltanto i redattori di Libero, che tuttavia sono «tuttofobi» per convenienza, non perché ci credano davvero, ma per quelle due o tremila copie (tirature decisamente minoritarie) che ancora riescono a sbolognare con fatica agl’ingenui. A tutti gli altri può capitare di ridere alle spalle di qualcuno, metti d’un gay, o di negare l’elemosina a un mendicante inginocchiato sotto i portici, di dare del terrone all’impiegato pubblico maleducato, oppure di prodursi in ridicole vanterie sessuali con gli amici del bar. Ma nella stragrande maggioranza dei casi non c’è sotto nessun pregiudizio. Oggi va così, domani si cambia.
Mettiamo, però, che sotto ci sia davvero un pregiudizio. E allora? Finché il pregiudizio non si arma di torce e forconi per mettere a ferro e fuoco il mondo non c’è che condannarlo, confutarlo e metterlo in burletta. Ma non gli si può impedire di sfogarsi a chiacchiere. Una cosa, infatti, sono i pasdaràn e le SA hitleriane; tutt’altra cosa gl’imbecilli convinti che la Terra sia piatta come un sottobicchiere, o che le donne siano esseri inferiori. C’è differenza tra un’opinione sciagurata e miserabile (ma disarmata) e le cinture esplosive dei terroristi islamici. Precisamente questa è la differenza che sfugge ai pasdaràn e alle SA del politicamente corretto. Agli occhi di questi giustizieri l’Idea e il Fatto sono la stessa cosa. Non c’è differenza tra una fantasia erotica (o anche soltanto un invito a cena) e uno stupro. Solo a un esaltato del politicamente corretto poteva venire in mente di censurare l’Iliade perché «esalta la bellezza della guerra», di sbianchettare la scoperta dell’America perchè Cristoforo Colombo era «un imperialista» o di cancellare l’Otello e Le avventure di Huckleberry Finn dal catalogo delle biblioteche pubbliche perché «in odore di razzismo».
Ma è successo: l’esaltato ha vinto (o sta vincendo) la partita culturale. Ciò che era inimmaginabile è diventato norma. Quella dei Nemici delle Minoranze è la sola minoranza che non viene difesa da nessuno. Nessuno compatisce il maschilista o l’omofobo; all’islamofobo non si fanno sconti. Solo gli editorialisti di Repubblica hanno diritto alle proprie alienazioni. A nessun altro è consentito agire da smargiasso o pensare con l’organo improprio. Neppure quando il pregiudizio è soltanto presunto (o proprio non ce n’è traccia, salvo che nelle fantasie infallibilmente paranoiche del cacciatore di streghe) il paladino delle buone cause è disposto a mollare l’osso.
Essere politicamente corretti significa essere infallibili e insindacabili. Ma soprattutto significa fare parte d’una banda. Non ci sono più minoranze, come negli anni sessanta, quando l’agitprop politicamente corretto cominciò a formulare le sue accuse (all’epoca giustificatissime) contro bigotti e parrucconi. Mezzo secolo più tardi, ci sono soltanto bande e racket politici, intorno ai quali si raccolgono opinioni sempre meno di minoranza e sempre più di maggioranza: un pensiero unico da condividere al buio, pena il martirio. Sono bande di carnefici e d’invasati, che all’ora dei talk show agitano davanti alle telecamere la loro bandiera buonista: una corda insaponata.
Diego Gabutti
Già collaboratore del Giornale (di Indro Montanelli), diSette (Corriere della Sera), e di numerose testate giornalistiche, corsivista e commentatore diItalia Oggi, direttore responsabile della rivista n+1 e, tra i suoi libri: Un’avventura di Amadeo Bordiga (Longanesi,1982), C’era una volta in America, un saggio-intervista-romanzo sul cinema di Sergio Leone (Rizzoli, 1984, e Milieu, 2015); Millennium. Da Erik il Rosso al cyberspazio. Avventure filosofiche e letterarie degli ultimi dieci secoli (Rubbettino, 2003). Cospiratori e poeti, dalla Comune di Parigi al Maggio'68" (2018 Neri Pozza ed.)