La vita e il destino amaro di Vassily Grossman
Commento di Giuliana Iurlano
Vassily Grossman - la copertina del suo capolavoro (Adelphi ed.)
Il 23 febbraio 1962, dopo che il suo romanzo “Vita e Destino” gli era stato definitivamente sequestrato, Vasily Grossman (il cui vero nome era Iosif Salomonovich) così scrisse al governo sovietico: “Non c’è alcuna logica, alcuna verità nella condizione attuale, nella mia libertà fisica quando il libro, a cui io ho dedicato la mia vita, è in prigione, perché io l’ho scritto e non ho rinunciato a lui e mai rinuncerò... Io chiedo la libertà per il mio libro”. Subito dopo, avrebbe scritto “Tutto scorre...”, un romanzo destinato a restare nel cassetto, nel quale metteva in bocca ad un compagno di cella, Aleksej Samojlovič, un’amara riflessione sulla libertà: “A che scopo prendere le difese della libertà; è passato il tempo in cui la gente vedeva in essa la legge e il significato del progresso. Adesso però [...] tutto è chiaro: non esiste in genere nessun progresso storico, la storia è un processo molecolare, l’uomo è sempre identico, non c’è niente da fare, lui non progredisce. C’è invece una legge semplice: è la legge della conservazione della violenza. [...] La violenza è eterna, [...] essa non sparisce, non diminuisce, si trasforma soltanto. [...] Ora migra di continente in continente, ora diventa classista, ora da classista si fa razziale [...]”. L’ebreo Grossman, vissuto per molti anni nel sogno della rivoluzione, aveva aperto gli occhi su una terribile realtà: le persecuzioni anti-ebraiche non avvenivano soltanto per mano nazista, ma anche ad opera del regime sovietico. In “Vita e Destino”, egli aveva messo lo stalinismo sul banco degli imputati, giustapponendo i crimini sovietici contro l’umanità a quelli commessi dai nazisti. In una recente biografia di Grossman (“Vasily Grossman and the Soviet Century”, New Haven - London, Yale University Press, 2019, pp. 395), Alexandra Popoff ripercorre la storia dello scrittore, la sua presa di coscienza disperata della verità negata, occultata, uccisa da un regime totalitario che pure, agli albori della rivoluzione, aveva fatto sperare in un futuro diverso, migliore, e che, invece, si era rivelato esattamente speculare al regime nemico che combatteva. Grossman, che fino a quel momento non aveva mai prestato ascolto alle sue origini ebraiche, recupera la sua identità originaria, si riscopre ebreo nel più vero senso del termine e non riesce più ad adattarsi alle perverse regole del sistema sovietico, un sistema che gli aveva imposto il realismo socialista, ma che censurava le descrizioni “realistiche” della povertà, della carestia, dello sterminio dei kulaki, degli arresti e delle condanne arbitrarie. Distrutto psicologicamente e divorato dal cancro, Grossman morirà nel 1964, senza mai vedere pubblicate le sue opere più importanti, due copie delle quali egli aveva affidato a degli amici, che le diffusero usando i canali del tamizdat. Esse riusciranno a varcare fortunosamente i confini sovietici e ad essere conosciute in Occidente. In Italia saranno pubblicate solo a partire dal 1980, ma resteranno opere di nicchia per molto tempo, finché, nel 2006, non venne fondato a Torino lo “Study Center Vasily Grossman”, per iniziativa di alcuni studenti universitari e giovani ricercatori che avevano conosciuto l’opera dello scrittore grazie ai suggerimenti di Luigi Giussani, che lo considerava fondamentale per comprendere la natura dell’uomo e il senso più vero della sua libertà.
Giuliana Iurlano è Professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento. Collabora a Informazione Corretta