Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 18/07/2019, a pag. 17, con il titolo "In Israele i ricercatori puntano all'utero artificiale. Stampato in laboratorio" il commento di Elisabetta Gramolini.
Un laboratorio biomedico in Israele
Un utero artificiale, costruito in laboratorio strato su strato e provvisto di vasi sanguigni. Non è fantascienza ma l'obiettivo dei ricercatori dell'ospedale Ichilov e dell'Università di Tel Aviv. Lo studio è già avviato, così come hanno spiegato i professori Dan Grisaru e David Elad in un'intervista al quotidiano Yediot Ahronot. 'Abbiamo deciso di provare a far crescere un arto da zero e abbiamo visto che il tessuto reagiva proprio come farebbe in natura», dice Grisaru al giornale. Ma invece di una gamba, gli scienziati hanno copiato la struttura esterna e le attività di un utero femminile, costituito da strati diversi di cellule in grado di reagire agli ormoni e alle pressioni esterne. Allo stesso tempo, i ricercatori hanno cominciato a studiare i vasi sanguigni per garantire al tessuto l'ossigeno e gli altri elementi di nutrizione per proteggere l'eventuale embrione nella fase di sviluppo. L'israeliano Grisaru ha annunciato che il prossimo anno tenteranno di «stampare in laboratorio il modello di un utero tridimensionale e di impiantarvi cellule simili a quelle di un feto per verificarne il possibile sviluppo».
Una serie di dubbi etici emerge sulle possibilità di questi studi. L'utero artificiale significherebbe una speranza per le donne prive per ragioni congenite o a seguito di una malattia, osserva il professor Antonio Lanzone, ordinario di Ginecologia dell'Università Cattolica di Roma. 'Sul piano teorico - continua - una applicazione potrebbe essere nei casi di grave disfunzione placentale prima delle 23 settimane di vita del feto per far continuare lo sviluppo». Chiaro è inoltre che il rapporto di filiazione, quella relazione strettissima in grembo, non ci sarebbe. 'Oggi sappiamo cosa avviene in utero: il dialogo fra la madre e il feto nei nove mesi di gravidanza è importante per l'esistenza del nascituro», ricorda Cleonice Battista, ginecologa del Policlinico Università Campus BioMedico di Roma. Riguardo alla ricerca israeliana, 'l'interrogativo che ci dovremmo porre - afferma la specialista - è se vale la pena fare tutto ciò. Ogni volta che ci allontaniamo dall'esperienza umana non sappiamo in che modo la biologia evolverà. Può sembrare affascinante ma va ricordato che quel figlio non avrà il contatto con i genitori durante i nove mesi».
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