Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 13/07/2019, a pag.II, con il titolo "Quei bravi ragazzi" il commento di Giulio Meotti
Giulio Meotti
Il cattivo tedesco non indossa più l’elmetto, ma fa la morale al mondo”, ha scritto questa settimana Eric Gujer, il direttore della Neue Zürcher Zeitung, il principale giornale svizzero. “Una giovane donna ignora un divieto governativo e invoca diritti superiori. Da solo non sarebbe molto spettacolare, succede spesso. Gli attivisti vogliono salvare l’ambiente incatenandosi agli alberi nella foresta di Hambach. Gli oppositori nucleari occupano le piste per bloccare il trasporto di rifiuti nucleari. I politici tedeschi di solito criticano questi comportamenti. Nel caso di Carola Rackete, tutto è diverso”. Il presidente federale tedesco Frank-Walter Steinmeier ha difeso il capitano della Sea Watch 3. “Agire da campioni morali del mondo è ormai una caratteristica ricorrente della storia tedesca”, continua Gujer. “Quando la Bundeswehr in Afghanistan costruì pozzi anziché combattere, la Germania difese il suo pacifismo contro le presunte macchine da guerra americane moralmente inferiori, da cui tuttavia la Bundeswehr vorrebbe essere protetta in caso di dubbio”.
Delle sei ong più recentemente attive nel Mediterraneo sui migranti, cinque sono tedesche. Un caso?
Quale fenomeno culturale c’è dietro? Josef Joffe, il direttore della Zeit, ha appena pubblicato il libro Der gute Deutsche. Il buon tedesco. “E’ la miglior Germania di sempre: da pariah a superpotenza morale”. Superpotenza morale e pacifista. Un rapporto dello European council on foreign relations recita: “La politica di difesa della Germania o il mondo dei sogni”. La Bundeswehr, l’esercito tedesco, è oggetto di scherno da molti anni. Non si trovano le reclute, i mezzi militari sono obsoleti, il paese non investe quanto richiesto nella Nato.
Sulla prima pagina della Zeit, il più rispettato settimanale tedesco, Maximilian Probst ha chiamato la Germania “società post eroica” che si basa su due fattori: “Il basso tasso di riproduzione demografica, che significa che c’è molto capitale emotivo riposto dai genitori su ogni singolo bambino e nessuno è pronto a rischiare, e che siamo una società religiosamente fredda”.
In un saggio appena uscito sul Washington Quarterly, Thomas Bagger – consigliere del presidente Steinmeier – scrive che i tedeschi sono diventati fatalisti. “Per un paese così gravemente consumato da un Führer catastrofico al punto che la parola ‘leadership’ non può più essere innocentemente tradotta in tedesco, è profondamente rassicurante che le forze più grandi e astratte della storia si occupino della direzione generale. Il compito dei tedeschi si limita ad amministrare l’inevitabile”.
Spiega Leon Mangasarian su Handelsblatt che ormai “i dibattiti politici in Germania sono anzitutto dibattiti morali, perché i tedeschi sono – comprensibilmente, visto il settuagenario tentativo di espiare il proprio passato nazista – preoccupati di essere moralmente impeccabili”.
Ne parliamo con il giornalista e intellettuale che più ha scritto su questo carattere tedesco, Alexander Grau, l’autore di libri quali “Hypermoral” e “Kulturpessimismus”, il collaboratore della Frankfurter Allgemeine Zeitung che cura la “Grauzone” per il bel magazine liberale Cicero. La tesi di Grau è che nell’èra post-ideologica la religione è stata sostituita dalla moralità, che è diventata ideologia. Grau vede il moralismo come una sovrastruttura intellettuale per lo sviluppo economico. Le norme morali costituiscono “la piscina di benessere in cui l’anima dell’uomo moderno sguazza”. E questa dilagante moralità non solo contribuisce a una semplificazione intellettuale, ma anche a una “estrema ideologizzazione”.
La Germania, fra tutti i paesi europei, è la perfetta società moralizzata. “Mentre a soli tremila chilometri di distanza si organizzavano genocidi, eliminazione delle culture e le persone venivano brutalmente macellate, qui ci si lamentava dell’eccesso di armi nel mondo, si sproloquiava sul dialogo tra le culture e si andava all’Oktoberfest, probabilmente perché da sobri difficilmente si sopportano le proprie chiacchiere” ci racconta Grau, in riferimento alla passività tedesca di fronte all’Isis, contro cui invece un altro grande paese europeo, la Francia, ha speso molte energie. “Questo atteggiamento è particolarmente pronunciato in quegli ambienti noti per il loro ‘coraggio morale’, che è più benessere morale. Tutto è così armonioso, protetto e sicuro nel nostro mondo di assistenza sociale democratica a tutto tondo”.
E’ quello che Grau ha appunto definito “ipermoralismo”, “un tentativo di allineare la società sulla base di idee che hanno le radici nel movimento del ’68. Solo gli intellettuali credono che gli intellettuali stiano cambiando il mondo. Sulla scia degli sviluppi economici e tecnici degli anni ’50 e ’60, un ‘1968’ era praticamente inevitabile. Il ’68 è stato nel migliore dei casi il grilletto che ha accelerato alcune idee di liberalizzazione.
Dal 1968, gli aspetti edonistico-piccoloborghesi si sono adattati alle masse, cioè la società del tempo libero. Gli ideali neomarxisti si affievolirono rapidamente. Le società di massa amano il kitsch. Corrisponde alla loro logica. La produzione di massa, il consumo di massa e i mass media fanno del kitsch uno standard estetico. Ma il kitsch non è solo una categoria estetica. E’ anche kitsch morale. E il suo gesto è l’indignazione. Come il kitsch estetico, il kitsch morale si basa sul sentimentalismo, non è interessato a un’analisi razionale o addirittura a valutare diverse prospettive. Il razionalismo e la fredda ragione sono un chiaro cinismo per lui. Quindi conosce solo il bianco e il nero, il mondo luminoso e il mondo oscuro.
Perché il kitsch morale diventi materiale di consumo, tuttavia, deve organizzarsi politicamente. Slegato da considerazioni politiche reali, può indulgere nel massimalismo morale. Il suo medium è l’atto d’accusa. Il risultato è il dizionario del kitsch politico, frasi e combinazioni di parole come ‘giustizia sociale’, ‘comunità di valori’, ‘solidarietà’, ‘valori democratici’, ‘comunità internazionale’ e così via”. L’ipermoralismo non è un fenomeno puramente tedesco. “L’ipermoralismo è l’ideologia caratteristica delle società ricche. Ciò significa: in società dove l’individualismo, l’emancipazione e l’autorealizzazione sono i valori centrali, gli argomenti moralistici hanno un’alta priorità. La ragione è che le affermazioni che l’individuo ha sulla società possono essere giustificate solo moralmente. Quindi argomenti morali, un ‘gergo’ morale e valori come l’uguaglianza, l’umanesimo e la consapevolezza, giocano un ruolo centrale nei discorsi sociali delle società postmoderne”.
In Germania vengono aggiunti alcuni aspetti. “Nella tradizione protestante, la coscienza individuale e la moralità personale svolgono un ruolo importante. Poi, la secolarizzazione. L’ipermoralismo è la religione delle società secolarizzate. E la Germania è una società molto laicizzata. Dal punto di vista degli studi religiosi si può dire che il protestantesimo più la secolarizzazione più il politicamente corretto fanno l’ipermoralismo”. E, infine, c’è la storia tedesca. “Naturalmente tutti questi bravi tedeschi sono in permanente lotta di resistenza contro Hitler, ma ottant’anni troppo tardi. Non devi essere un grande psicologo per capire che questi bravi tedeschi vogliono dimostrare di essere dalla parte giusta, dalla parte dell’umanità. Il puritanesimo di oggi è la logica conseguenza dell’edonismo. L’uno non funziona senza l’altro. Nessuno vuole vivere senza moralità. Le persone hanno bisogno di un orientamento normativo. E la certezza di essere dei bravi ragazzi”.
Grau legge anche il successo dei Verdi in Germania come il simbolo di questo fenomeno. “Sono l’ipermoralismo organizzato politicamente. I Verdi vogliono dettare alle persone come devono vivere: senza carne, sostenibile, multiculturale, sempre tollerante di tutto e, naturalmente, a basso contenuto di sostanze inquinanti. Le radici dei Verdi risiedono nell’ambiente edonistico-alternativo degli anni Settanta. Il puritanesimo verde di oggi è la logica conseguenza dell’edonismo alternativo di ieri. Nell’ambito della sinistra progressista, la moralità tradizionale è stata sostituita dall’umanesimo astratto. Si sogna un mondo politicamente corretto in cui il padre sensibile al gender nella sua auto elettrica da quarantamila euro si reca al supermercato biologico per comprare cibo vegano per la sua famiglia patchwork. Coloro che osano opporsi a questo ipermoralismo vengono rapidamente etichettati come privi di empatia, freddi o egoisti”.
Alexander Grau non è d’accordo con quanto scrive Thomas Bagger. “Lui è convinto che i tedeschi siano diventati fatalisti. Non sono d’accordo. La mia impressione è che il loro compito non sia ‘limitato ad amministrare l’avvento dell’inevitabile’, ma provare l’impossibile ovvero migliorare il mondo. Bagger sembra pensare che i tedeschi siano qualcosa di simile agli hegeliani che credono nelle leggi della storia. Direi che i tedeschi credono di aver riconosciuto il vero obiettivo della storia: una società globale tollerante e universale. La nuova missione abbonda di diversità e identità ibride, una società individui altamente flessibili la cui identità non è più basata su una tradizione culturale, ma su reti sociali in costante cambiamento”.
La Germania non sembra avere politica estera sull’immigrazione, nessun nation building, ma soltanto umanitarismo. “Ci sono ragioni storiche per questo. Alla Germania non è stato permesso di condurre una politica estera indipendente per decenni. E dopo la caduta del Muro molti tedeschi, in particolare molti politici tedeschi, speravano nella ‘fine della storia’. E poi lo shock: la storia continua. A oggi, la classe politica in Germania non ha idea del ruolo della Germania nel mondo. Per questo sono dediti all’Europa e preferiscono parlare di umanesimo e così via”. Veniamo a Carola Rackete e Pia Klemp della Sos Méditerranée. I giovani tedeschi solidali li trovi ovunque, a Lesbo, a Calais, nel Mediterraneo, nella rotta balcanica. “Ci sono due ragioni per questo: una socioeconomica e una ideologica. La Germania è un paese molto ricco e ci sono molti giovani che possono permettersi il lusso di salvare il mondo. L’ipermoralismo è la loro nuova religione, dà loro orientamento, significato e stabilità. Sono fondamentalisti molto motivati. Dividono il mondo in bene e il male, in luce e buio. Questo dà loro sicurezza e certezza. La società tedesca è molto pacifista, ben oltre la sinistra politica, i ‘buoni tedeschi’ e il movimento per la pace.
Da un punto di vista psicologico i tedeschi sono profondamente traumatizzati dagli eventi del XX secolo. E i tedeschi hanno imparato che la guerra rende colpevoli. Americani, francesi, inglesi e israeliani hanno imparato che la guerra può anche liberarti”.
Nel suo libro di due anni fa che ha fatto scalpore, “Finis Germania”, lo storico (poi suicida) Rolf Peter Sieferle riprende la formula nicciana dell’“ultimo uomo”. “Caratterizza il tipico cittadino ‘socialdemocratico’ delle società ricche: simpatico, amichevole, sociale, equo, morale, umanistico, tutti che vogliono essere uguali e tolleranti. Sono pacifici e post-eroici. Alcuni sociologi ritengono che le nostre società occidentali continueranno a tribalizzarsi in cluster sulla base di caratteristiche economiche, culturali, ideologiche, estetiche o religiose. Quanto saranno pacifiche tali società tribali dipenderà molto dalla prosperità. Sotto pressione economica, tali società diventano insoddisfatte. La prosperità, d’altra parte, ci rende tolleranti e liberali. In un certo senso, questo tipo di persona è un prodotto della sicurezza sociale e della prosperità. ‘L’ultimo uomo’ ha trovato felicità e battiti di ciglia, scrive Nietzsche. Ma sarà una società banale, brutta e postculturale, anche se forse sarebbe davvero felice.
Il fenomeno è apolitico o prepolitico. La società post eroica, o forse edonistico o infantile, preferisce piuttosto andare giù piuttosto che morire.
Michel Houellebecq lo ha descritto in modo appropriato. Le società postmoderne sono sempre società post eroiche. E le società post eroiche sono sempre post culturali”.
Questa settimana, gli Stati Uniti hanno chiesto alla Germania di mandare in Siria un po’ di truppe, come fanno già altri paesi, per impedire la rinascita dello Stato islamico. Non è difficile immaginare quale sia stata la risposta di Berlino. Nein.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante