Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/07/2019, a pag.22 con il titolo "L’assalto dei tifosi israeliani: 'Mohammed via dalla squadra' ", il commento di Davide Lerner.
Una semplice domanda per Davide Lerner, solerte nell'evidenziare il razzismo di un noto gruppo di tifosi estremisti del Beitar Jerusalem: in ogni Paese del mondo, Italia inclusa, esistono gruppi di tifosi organizzati che si comportano in modo analogo (in Italia, per esempio, molte tifoserie hanno legami con l'estrema destra extraparlamentare). Perché non scrivere anche su questi gruppi ma soltanto su quello della squadra di Gerusalemme? La risposta è ovvia e non va a merito del cronista di Repubblica.
Ecco l'articolo:
Davide Lerner
«Muori, Mohammed!», «Morte ad Ali!». Gli ultras del Beitar di Gerusalemme, una delle principali squadre di calcio israeliane, hanno riservato un’accoglienza di fuoco al nuovo centrocampista nigeriano Ali Mohamed, tempestandolo d’insulti xenofobi e minacce durante un allenamento pre-campionato del club. Gli hooligans, noti per il loro razzismo e suprematismo ebraico, si sono opposti all’acquisto del centrocampista durante il calciomercato, desumendo dal nome che fosse musulmano. Era poi arrivata la demenziale rettifica: «Dopo innumerevoli verifiche e controlli sull’identità del calciatore Ali, possiamo confermare che si tratta di un devoto cristiano, e non ci opponiamo dunque al suo approdo nel club. Tuttavia, rimane il problema del nome: deve essere cambiato perché il nome Mohammed non può essere pronunciato nel nostro stadio». Così il comunicato di "La Familia," il famigerato gruppo ultras del Beitar, che in un noto coro scandito prima di ogni partita intona «Eccola che arriva, [il Beitar] è la squadra più razzista del Paese!» La dirigenza ha, in un primo momento, dimostrato fermezza, escludendo di chiedere al calciatore. «Che importanza ha di che religione sia?»," ha detto il proprietario Moshe Hogeg, che avrebbe ricevuto anche minacce di morte. Dopo l’allenamento preso di mira dalle frange più violente del tifo, con tanto di quattro arresti per discriminazione razziale e lancio di granate fumogene, Hogeg ha però minacciato di gettare la spugna, ipotizzando addirittura la vendita del club. Non sarebbe la prima volta che il potente gruppo ultras "La Familia" riesce ad imporre la propria linea sulla società — non è d’altronde un caso se la squadra di Gerusalemme rimane l’unica in Israele a non aver mai avuto un calciatore arabo-musulmano. Il precedente che fa tremare la dirigenza è quello del 2013, quando l’acquisto di due giocatori ceceni — loro sì, musulmani — scatenò una campagna di protesta brutale e instancabile da parte degli ultras. Pur di difendere la "purezza" della squadra, i tifosi la fecero precipitare in una sorta di psicodramma collettivo, raccontato magistralmente nel documentario "Forever pure" (uno striscione dell’epoca). Risultato: il Beitar rischia la retrocessione invece di lottare per lo scudetto, una Molotov distrugge i trofei nella sede del club, i due ceceni allontanati insieme al capitano che aveva appoggiato la linea del presidente.
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