Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 10/07/2019, a pag. 31, con il titolo "Usa-Iran, c'è una sola strada", il commento/appello di Shirin Ebadi, Jody Williams.
Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace nel 2003, da sempre è attiva per denunciare le ingiustizie e le oppressioni nel mondo islamico in generale e in Iran in particolare. L'appello firmato insieme a Jody Williams, però, è generico e perciò inutile: solo una proposta puntuale e concreta può essere realizzata, e l'appello di Ebadi e Williams non lo è. Mentre le sanzioni di Trump lo sono.
Ecco l'articolo:
Shirin Ebadi, Jody Williams
Domenica l'Iran ha dichiarato di aver superato il livello limite di arricchimento dell'uranio - la purezza fissile del 3,67 per cento richiesta per la produzione di energia - stabilito dall'accordo del 2015 con gli Stati Uniti e altre potenze internazionali. E ha minacciato di andare oltre. Il presidente Hassan Rouhani aveva affermato mercoledì che l'Iran arricchirà l'uranio a «qualunque livello utile». L'amministrazione Trump aveva risposto che proseguirà la sua politica di «massima pressione» attraverso rigide sanzioni economiche fino a che l'Iran «porrà fine alle sue ambizioni nucleari e al suo comportamento pernicioso». In qualità di cittadine degli Stati Uniti e dell'Iran che hanno dedicato la vita all'obiettivo della pace siamo seriamente preoccupate per l'aggravarsi delle tensioni tra nostri Paesi. La politica di massima pressione dell'amministrazione Trump ci ha portato sull'orlo di un confronto armato. Sebbene Teheran sia ben lungi dal dotarsi di un'arma nucleare, il mancato accordo con Washington potrebbe condurla a perseguire il proprio programma nucleare in forma più aggressiva.
Potrebbe così crearsi un pericoloso precedente globale, potenzialmente in grado di dare il via a una proliferazione incontrollata di armi nucleari. Bisogna che Washington e Teheran riducano la tensione e inizino ad abbozzare le clausole di un accordo adeguato per entrambe le parti. L'Iran vuole la revoca delle sanzioni. Gli Stati Uniti vogliono, come minimo, la garanzia che l'Iran non acquisisca armi nucleari. II buon senso impone che gli Stati Uniti e l'Iran si impegnino in vista di un accordo che affronti queste loro reciproche istanze. Mercoledì il presidente Rouhani aveva dichiarato che le misure di Teheran erano del tutto reversibili: «Tutte le nostre azioni possono essere annullate, ripristinando la situazione precedente nel giro di un'ora». Questa affermazione indica la disponibilità a negoziare. Aperture simili offrono un'opportunità straordinaria di soluzione del conflitto e bisogna impegnarsi a sfruttarle tramite una diplomazia esperta e saggia. Gli Stati Uniti possono contraccambiare impegnandosi al dialogo. Proseguire la strategia della massima pressione porterà soltanto a incrementare il "comportamento pernicioso" da parte iraniana in Iraq, Yemen e Siria. La posta in gioco è troppo alta e questi passi preventivi vanno attuati subito. Domenica è scaduto l'ultimatum di 60 giorni imposto all'Iran dagli altri firmatari dell'accordo sul nucleare - Cina, Francia, Germania, Russia e Gran Bretagna - per rispettare l'accordo da cui gli Usa si sono ritirati. L'Iran non indietreggerà di fronte a ulteriori ultimatum. All'interno del Paese l'intensificarsi del conflitto con gli Stati Uniti incoraggerà ulteriormente la linea dura di Teheran nei confronti degli attivisti per la tutela dei diritti umani, etichettati come terroristi e collaboratori. Teheran ha già condannato l'avvocata per i diritti umani Nasrin Sotoudeh a 38 anni e sei mesi di carcere e 148 frustate dopo due processi iniqui. Narges Mohammadi, vicepresidente del Centre for Human Rights Defenders è stata condannata a 21 annidi carcere per il suo impegno a favore dell'avanzamento dei diritti umani in Iran. Queste attiviste sono state oggetto di repressione perché rivendicavano il rispetto dei loro fondamentali di ritti umani. Con l'aumentare delle tensioni con gli Stati Uniti, Teheran ha inasprito il suo atteggiamento contro i difensori dei diritti umani per non sembrare debole nei confronti di coloro che l'Iran accusa di cospirare assieme agli Stati Uniti. Un conflitto militare, inoltre, danneggerebbe ulteriormente l'economia iraniana, già in affanno a seguito delle sanzioni americane. Gli iraniani soffrono profondamente per la situazione della loro moneta, che ha perso il 60 per cento del valore da quando sono state reintrodotte le sanzioni e per il concomitante aumento della disoccupazione e del costo della vita. Il prezzo dei generi alimentari è aumentato vertiginosamente rendendo carne e verdure proibitive per la gente comune. Nel frattempo i circoli più vicini al regime profittano della corruzione alimentata dalle sanzioni. Oltre i confini iraniani un conflitto Usa-Iran travolgerebbe Israele, Iraq, Arabia Saudita, Yemen e Siria portando la regione del Golfo persico, già polarizzata, su una traiettoria ancor più pericolosa. Di tutti i Paesi della regione lo Yemen, che affronta la più terribile crisi umanitaria, resta il campo di battaglia tra ribelli Houthi, sostenuti dall'Iran, e la coalizione sostenuta dal sauditi e dagli americani. L'inasprirsi delle tensioni tra Stati Uniti e Iran mette a rischio il processo di pace in Yemen e potrebbe avere impatto sull'apertura dei porti del Mar Rosso e sull'incremento dei flussi di aiuti umanitari in ingresso nello Yemen. Anche per gli americani i costi sono alti. Da anni l'Iran si prepara ad attaccare le forze americane in Medio Oriente nell'ambito della propria strategia di auto difesa. Teheran possiede una forza missilistica agile e sofisticata ed è ben equipaggiata a sfidare gli interessi degli americani e dei loro alleati nella regione. A pagare il prezzo più pesante di questo conflitto evitabile sarebbero i cittadini comuni dell'Iran, dello Yemen e degli stati Uniti - in maggioranza donne e bambini. È tempo di riportare Washington e Teheran alla ragione e di impegnarsi a favore di un approccio che veda il massimo impiego della diplomazia e ponga al centro i cittadini, proteggendo il fragile equilibrio tra nostri Paesi. L'appello alla pace nella regione non è mai stato più pressante e la posta in gioco mai così alta.
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante