Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/07/2019, a pag.26, con il titolo "Il mio museo è una moderna agorà dell'arte" l'intervista di Alain Elkann a Tania Coen-Uzielli, direttrice del Museo d'Arte Moderna di Tel Aviv
Alain Elkann Tania Coen-Uzielli
Il Museo d'Arte Moderna di Tel Aviv
Coen-Uzzielli è la direttrice del Museo d’Arte di Tel Aviv (Tama). Precedentemente è stata a capo dei servizi curatoriali del Museo di Israele a Gerusalemme dove ha organizzato diverse mostre di arte ebraica; nel 2018 è stata tra i curatori del Padiglione Israele alla Biennale architettura di Venezia, Tra i suoi maggiori successi espositivi al Museo d'Israele la mostra The Synagogue Route inaugurata nel 2010 e nel 2015, Una breve storia dell’umanità. Di che cosa trattava la mostra The Synagogue Route? «Prima di essere riaperto, nel 2010 il Museo di Israele Gerusalemme è stato ristrutturato. Io sono responsabile della creazione della Synagogue Route, un percorso che ricostruisce quattro sinagoghe provenienti da Europa, Asia e Americhe, e consente al visitatore di comprendere meglio la cultura e il dialogo intrattenuti dalla comunità ebraica con la cultura circostante». I visitatori compiono un viaggio attraverso una varietà di tradizioni e influenze? «Sì. La comunità ebraica lotta da sempre per mantenere la propria identità e dall'altra parte assorbe elementi, stile, modo di pensare e cultura del luogo». Com’è stato lavorare al Museo di Israele? «Ho avuto l’opportunità di lavorarefianco afianco conil direttore generale James Snyder. Lì ho avuto modo di capire che un museo è una grande piattaforma per una vasta esperienza culturale che inizia molto prima dell’arrivo del visitatore». Com’è diventata direttore generale di Tama? «Mi ha interpellato uno dei membri del consiglio di amministrazione. Ho subito sentito che questa per me poteva essere un'opportunità per conoscere un museo diverso in Israele e per capire meglio la sua funzione, il suo potenziale e la sua definizione di istituzione culturale». Che tipo di musei sono questi due? «Mi piace usare come metafora la polis greca. Lì devi salire sull’acropoli per liberarti dal sentimento mondano,dal pensiero e dagli atteggiamenti secolari. E in un certo senso è così che funziona il Museo di Israele. Conserva la più antica testimonianza della Bibbia peresempio,l’archeologia della Terra Santa, l’arte e la vita ebraica, quindi tutto è un po’ santo e sacro. Invece l’agorà è il posto dove c’è il mercato, il teatro, la musica, la biblioteca. È il luogo in cui arriva il pubblico, tutti sono indaffarati e tutto sta accadendo lì. È un luogo vitale, e questo è ciò che il Museo d'Arte di Tel Aviv rappresenta per me». Altre ragioni? «Perché è sulla strada, vicino all'Opera,al teatro, alla biblioteca e non lontano dai centri commerciali.Quindi è un punto cruciale di Tel Aviv, ecco perché è un’agorà». Mi parli del Tama. «Fu fondato nel 1932 per iniziativa di MeirDizengoff,il primo sindaco della città. Quest'uomo non sapeva nulla di arte,ma capì l'importanza di avere un museo d'arte nella nuova città. Nel 1948 la dichiarazione dello Stato di Israele si tenne nel museo». Come è stata realizzata la collezione? «Dagli Anni '30 agli Anni '50, la principale collezione di arte moderna è stata raccolta grazie a donazioni da parte di ebrei di tutto il mondo che ne avevano compreso l’importanza. Arte moderna all'inizio, con gli anni siamo diventati la casa dell'arte israeliana». Nomi di artisti? «Da Chagall a Monet, Pissarro, Manet, Van Gogh, Cezanne e una buona collezione di espressionismo tedesco.Il museo ha avuto la fortuna di ricevere una donazione da Peggy Guggenheim: opere di Max Ernst, Jackson Pollock e Magritte. Il Tama poi continua a collezionare e a essere attivo sulla scena artistica israeliana,con una mostra permanente sulle fasi dell’arte israeliana che sono intrecciate con la storia dello Stato di Israele e sono la testimonianza delle tensioni politiche e sociali e delle guerre». Qual è la sua ambizione? «Ho diversi obiettivi e il principale è il riconoscimento dell’importanza del museo come istituzione artistica per i diversi pubblici. Il primo è rappresentato dagli intenditori d'arte, artisti, collezionisti, ma non conta meno il grande pubblico e cioè famiglie, studenti, soldati, adolescenti. E per raggiungere e coinvolgere tante persone diverse occorre creare un ricco remix di programmi». Quanti visitatori avete? «L’anno scorso un milione, un record. Pochissimi erano turisti, meno del 15 per cento, ma è un numero importante che non voglio perdere. Questo museo funziona come istituzione culturale dove ogni giorno si svolgono spettacoli teatrali, film e programmi musicali». Chi lo finanzia? «Il budget è diviso in tre. Un terzo è finanziato dal comune, un terzo dai biglietti e altre attività, e un terzo dalle donazioni in denaro. A volte dobbiamo creare nuovi progetti, come ad esempio rinnovare un padiglione, quello che oggi ospita l'arte contemporanea israeliana e internazionale. In questo siamo stati supportati da Eyal Ofer,che ci ha dato cinque milioni di dollari. Eyal è un famoso collezionista di arte moderna e contemporanea e siamo felici di averlo con noi». Fate nuove acquisizioni? «Solo di arte israeliana, e pochissime di contemporaneo, per mancanza di fondi». Quali eventi sono in programma quest’anno? «Quest’estate apriremo una mostra sulla spiritualità nell’arte, una collettiva di diversi artisti del 20°e del 21°secolo». E poi? «Il prossimo anno abbiamo artisti contemporanei come Annette Messager, e una mostra di Calder.Poi stiamo dialogando con il Museo dell’Ermitage per lo scambio di mostre». I giovani israeliani sono molto interessati all’arte? «Per me èdifficile pensarea loro come a un gruppo omogeneo ma devo dire che non ne vedo abbastanza al museo. D’altra parte ci sono molte scuole d'arte in Israele, e quegli studenti ci visitano spesso». Che tipo di città è Tel Aviv da un punto di vista culturale? «Oggi, più di Gerusalemme, è la capitale della cultura in Israele. Ospita molte gallerie e studi di artisti e iniziative sperimentali.Poi danza,spettacolo e musica, insomma è una piattaformai deale». Vive a Gerusalemme e lavora a Tel Aviv. Dov’è il suo cuore? «Possiamo dividere il cuore? Mi sento un po'scissa».
( traduzione di Carla Reschia)
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