Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/07/2019 a pag.11 con il titolo "Figli sequestrati e genitori rieducati. Così la Cina vuole cancellare gli Uiguri" l'analisi di Francesco Radicioni.
Le persecuzioni della Cina contro la popolazione uiguri è nel più tradizionale stile mao-stalin-nazista. Eppure il governo cinese viene onorato con i più grandi sorrisi e la più calde accoglienze. I media italiani non raccontano gli orrori che conosciamo soltanto grazie ad articoli come questo, non a caso pubblicato sulla Stampa, l'unico quotidiano che coraggiosamente ha il coraggio di rivelarli (come avviene in altra pagina con l'editoriale del direttore Molinari su Putin)
Gli Uiguri, chi sono:
un’etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina, soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang, insieme ai cinesi Han. Sono il gruppo etnico più consistente della regione e rappresenta il 46 per cento della popolazione. Un altro gruppo di Uiguri vive nella contea di Taoyuan nella provincia dello Hunan (Cina centro-meridionale). Sono uno dei 56 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti in Cina. Al di fuori della Cina, esistono significative comunità uiguri vittime di una diaspora nei Paesi dell'Asia centrale del Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan, e in Turchia. Nella sola Cina vivono circa 8 milioni e 400 mila Uiguri.
Francesco Radicioni Uiguri pronti per essere schedati
HONG KONG - Anche se i loro genitori sono vivi, la Cina li tratta da orfani. Dopo che centinaia di migliaia di musulmani sono finiti in campi di rieducazione nella provincia occidentale dello Xinjiang perché sospettati di «estremismo, terrorismo e separatismo», ora le autorità della Repubblica Popolare stanno allontanando migliaia di bambini della minoranza uigura dalle loro famiglie, dalla loro fede e dalla loro cultura. Secondo una recente ricerca curata dall’accademico tedesco Adrian Zenz e dalla Bbc, le autorità della regione musulmana e turcofona a ridosso dell’Asia Centrale avrebbero iniziato a costruire convitti per fornire «assistenza a tempo pieno o a tempo quasi pieno a bambini fin dalla più tenera età». Molti di questi istituti più che a scuole assomigliano a carceri: draconiani livelli di sicurezza, sistemi di sorveglianza e alte mura di cinta. Attraverso lo studio di documenti del governo, articoli usciti sulla stampa locale e interviste con uiguri all’estero, si è scoperto che dall’inizio del 2018 le autorità cinesi hanno diramato direttive su come gestire il fenomeno dei bambini «praticamente orfani», quando uno o entrambi i genitori sono stati rinchiusi in campi di rieducazione. Secondo i dati raccolti, solo in una città dello Xinjiang sarebbero oltre 400 i minori cui entrambi i genitori sono stati detenuti nei campi, scrive in «Break Their Roots: Evidence for China’s Parent-Child Separation Campaign in Xinjiang» Adrian Zenz, uno dei massimi esperti del sistema dei campi nella regione occidentale cinese. I «convitti della pace» Se i media di Pechino enfatizzano che i convitti aiutano «nel mantenimento della pace e della stabilità sociale», secondo Zenz sono invece «la chiara indicazione che l’obiettivo a lungo termine nello Xinjiang è un genocidio culturale mirato». Pechino da tempo promuove l’apprendimento del mandarino tra i bambini uiguri, mentre scoraggia le famiglie dall’insegnare i precetti dell’Islam e la cultura locale. «Questa campagna senza precedenti - aggiungeva l’accademico - ha consentito al governo dello Xinjiang di indottrinare i bambini in un ambiente chiuso e separandoli dai loro genitori», anche quando potrebbe esserci un altro familiare a occuparsi di loro. Stando alle informazioni raccolte, si scopre che nelle zone a maggioranza uigura dello Xinjiang le iscrizioni di bambini in età prescolare è quadruplicata negli ultimi anni. «Non ho più alcun contatto e non so chi si stia prendendo cura di loro», dice una madre di tre bambine alla Bbc da Istanbul. L’esilio in Turchia Sono migliaia gli uiguri che vivono nella megalopoli turca per le affinità linguistiche, religiose e culturali, senza poter più tornare nello Xinjiang per timore di essere internati. Secondo le stime, dall’inizio del 2017 circa due milioni di persone sono state rinchiuse all’interno dei campi senza un processo, mentre le organizzazioni per i diritti umani denunciano che i detenuti sono sottoposti a sessioni al lavaggio del cervello del Partito Comunista. Un funzionario del Dipartimento di Propaganda dello Xinjiang ha negato alla Bbc che sia il governo a prendersi cura di molti bambini i cui genitori sono finiti nei campi. «Se tutti i membri di una famiglia sono stati inviati alla formazione professionale, vuol dire che quella famiglia ha un grave problema», ha detto Xu Guixiang. La denuncia dell’Onu Se la scorsa estate le autorità della Repubblica Popolare avevano prima liquidato le denunce delle Nazioni Unite secondo cui «almeno un milione di persone» sarebbe stata rinchiusa in quello che somiglia a «un imponente campo di internamento avvolto dal segreto», qualche settimana più tardi Pechino però ha ammesso che alcune persone accusate di crimini legati a «terrorismo e estremismo» erano state portate in «centri di formazione professionale» per la loro «riabilitazione». In prigione per una preghiera Numerosi ex-detenuti hanno denunciato che si può finire nei campi per aver pregato regolarmente, per aver letto il Corano o per aver avuto contatti con l’estero. Se più volte le rivendicazioni politiche e culturali degli uiguri sono sfociate in atti violenti e gli esperti hanno studiato i collegamenti tra i gruppi dello Xinjiang con le organizzazioni terroristiche internazionali, negli ultimi anni Pechino ha rafforzato l’apparato di sicurezza in quella che è una delle regioni più strategiche per la Cina. Mentre una pioggia di denaro si è riversata in questo snodo dell’iniziativa Belt and Road, le strade di Kashgar e degli altri khanati lungo le antiche vie della Seta sono state trasformate in un grande esperimento di controllo sociale.
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