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La Stampa Rassegna Stampa
07.07.2019 Putin soltanto un dittatore? solo chi legge la Stampa conosce i suoi crimini
Ritratto coraggioso di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 07 luglio 2019
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L'offensiva di Putin è in affanno»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/07/2019, a pag.1/21 con il titolo "L'offensiva di Putin è in affanno" l'editoriale del direttore Maurizio Molinari

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Dopo una indigestione di Putin 'romano' circondato dai sorrisi di tutti quelli 'che contano'- da Mattarella al Papa- ecco finalmente una descrizione vera di uno dei peggiori dittatori attualmente sul pianeta, le cui tecniche repressive non hanno nulla da invidiare ai massimi criminali del'900, da Stalin a Mao, Castro ecc.
Continua a essere d'attualità la domanda: perchè i nostri media, quasi tutti con l'eccezione della Stampa a direzione Molinari, brillano per l'assenza di un benchè minimo coraggio quando si tratta di affrontare la criminalità dei regimi post-comunisti

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Maurizio Molinari

L’ intento resta la ricostruzione dell’impero russo ma il disegno di portare scompiglio in Occidente comincia a mostrare qualche crepa: la visita a Roma del presidente russo, Vladimir Putin, ha confermato che l’offensiva sovranista del Cremlino segna il passo. La ricostruzione dell’impero è nel linguaggio del corpo e nelle azioni di Putin. Chi lo ha incontrato a tu per tu è stato colpito dal suo sguardo fisso verso l’orizzonte, da un misticismo laico che somma nazionalismo e fede ortodossa, così come dalla determinazione a difendere ad ogni costo l’annessione della Crimea del 2014 con la relativa violazione alla sovranità dell’Ucraina. Putin ritiene entrambe legittime in nome della russofonia e vede nelle sanzioni di Usa e Ue un’aggressione strategica alla ricostruzione di un’unica patria russa per tutti i popoli che sentono di appartenervi. Al punto da aver offerto agli Stati Uniti un baratto fra abbandono russo di Nicolas Maduro in Venezuela e accettazione dell’annessione della Crimea. Per non parlare di quanto avviene sul fronte caldo del Donbass dove Mosca invia a fianco dei separatisti militari musulmani asiatici che quando catturano gli ucraini li castrano prima di rimandarli indietro. Sono i tasselli di una difesa granitica della vocazione imperiale della Russia che hanno accompagnato Putin nella breve ma intensa visita romana, su entrambe le rive del Tevere, ma la strategia di aggredire gli Stati vicini - Georgia e Ucraina - per impedirgli di allontanarsi da Mosca come anche di portare scompiglio in Occidente segna il passo. Lungo i confini russi infatti a Kiev è stato eletto presidente Volodimir Zelensky che non vuole piegarsi al Cremlino E Tbilisi resta determinata a non accettare l’invasione del 2008 mentre Armenia e Moldavia da qualche tempo guardano sempre più ad Occidente. Ma è soprattutto l’offensiva russa di infiltrazioni in Europa che non sembra produrre i risultati sperati. La scelta strategica di sostenere partiti e movimenti populisti e nazionalisti in Ungheria, Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna, Svezia, Spagna, Slovacchia, Finlandia e altrove finora ha dato ben pochi frutti concreti perché anche dove si sono imposti - con Viktor Orban in Ungheria, i gialloverdi in Italia o il Brexit Party in Gran Bretagna - non hanno fatto venir meno il consenso Ue-Nato sulle sanzioni alla Russia. A tale riguardo l’incontro a Palazzo Chigi è stato esemplare: il premier Conte ha rinnovato amicizia e apertura alla Russia ma sulle sanzioni non ha infranto la coesione Ue-Nato, pur guidando da oltre un anno il governo dell’Europa Occidentale più attento alle ragioni di Mosca. Se a ciò aggiungiamo che la scelta russa di sostenere i Gilet Gialli si è trasformata in un boomerang politico in Francia - pregiudicando i rapporti con il presidente Emmanuel Macron - che la Brexit ha spinto Londra più vicina a Washington, che la Slovacchia ha eletto in Zuzana Caputova una presidente pro-Ue e che il tramonto politico di Angela Merkel priva il Cremlino del principale interlocutore in Europa, non è difficile comprendere il nervosismo di Putin di fronte alla resilienza delle democrazie liberali che, seppur molto indebolite, restano comunque fedeli alle alleanze Ue-Nato. È in tale cornice che, come ha riportato ieri il nostro Paolo Mastrolilli dagli Stati Uniti, l’amministrazione Trump guarda con particolare attenzione al vicepremier leghista Matteo Salvini perché l’impressione è che sia in bilico fra Washington e Mosca. Ovvero, gli incontri recenti con Mike Pompeo al Dipartimento di Stato e con Mike Pence alla Casa Bianca sono serviti a far guadagnare credibilità a Salvini come maggiore leader politico italiano - soprattutto per le posizioni espresse su Cina, Venezuela e Iran - ma sulla Russia è apparso ambiguo, evitando di esprimersi sulle sanzioni. Da qui la convinzione di Washington che l’esitazione di Salvini sia una fedele cartina di tornasole dell’attuale fase del braccio di ferro con Mosca in Europa: i russi stanno perdendo terreno ma i loro partner più stretti esitano ancora a voltargli del tutto le spalle

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