Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/07/2019, a pag.11 con il titolo "Sudan, la rivolta dei civili piega i militari" la cronaca di Giordano Stabile
Troppo entusiasta il commento di Stabile, non dimentichiamo l'inganno della 'primavera araba' che venne accolta dai media occidentali nell'illusione che fosse diretta contro i regimi arabi-islamici dittatoriali. In realtà, l'obiettivo erano i regimi laici (per quanto può esserlo un governo musulmano, cioè sottomesso alla Sharia). Stabile scrive che bisogna attendere 21 mesi, aspettiamo pure, ma non dimentichiamo la storia del Sudan, in particolare i "tre NO" contro Israele, che influenzarono tramite la Lega araba tutto il mondo islamico.
Giordano Stabile
KHARTOUM- Ha vinto un popolo a mani nude, che si è fatto scudo soltanto del proprio coraggio, contro un potere armato fino ai denti, disposto a usare la forza più brutale. La primavera del Sudan è arrivata nel pieno dell’estate, mentre Khartoum osserva ansiosa le prime nubi che apriranno la stagione delle piogge e porteranno refrigerio. Ma il sollievo ora è ben più grande. La gente si guarda incredula e si abbraccia, mentre i cori «madanìa, madanìa», governo civile, continuano ma non sono più di rabbia, sono di vittoria, e un fiume di gente, grande come il Nilo, invade le strade per danzare fino a notte. La giunta militare, in sella dopo la caduta del dittatore Omar al-Bashir, ha ceduto. Fra 21 mesi, in base all’accordo raggiunto con la mediazione di Unione africana ed Ue, la guida del Paese passerà ai civili. Sarà una transizione lunga e laboriosa, 33 mesi in tutto, ma il risultato è raggiunto. La rivolta Dal 19 dicembre il Sudan ha vissuto sei mesi di storia accelerata, dopo che per trent’anni era rimasto congelato sotto l’autocrazia del raiss, un presidente-padrone ricercato dalla Corte penale internazionale per i crimini nel Darfour. I sudanesi lo hanno abbattuto, hanno costretto il suo successore a dimettersi dopo pochi giorni, hanno lottato contro il nuovo uomo forte, il numero due della giunta, generale Mohamed Hamdan Dagalo. La reazione di «Hemeti», come viene chiamato qui, è stato spietata. Nella notte fra il 3 e il 4 giugno ha spazzato via il sit-in davanti al quartiere generale delle Forze armate. I suoi «berretti rossi», la milizia erede dei «diavoli a cavallo» del Darfour, ha fatto una macelleria, 107 morti. La primavera sembrava soffocata nel sangue. In Consiglio di transizione militare si preparava a sostituire Al-Bashir con un nuovo raiss. E invece no. Domenica un milione di persone si sono prese Khartoum. Un protesta organizzata senza Internet, con migliaia di foglietti volanti che davano indicazioni su dove e quando mettersi in marcia, isolato per isolato, quartiere per quartiere. Questa volta «Hemeti» non ha dato ordine di sparare. Ha capito che sarebbe rimasto solo, che anche i suoi alleati, Arabia Saudita ed Emirati arabi, lo avrebbero mollato nel caso di un bagno di sangue. Il mediatore dell’Ua, il navigato mauritano Hassan Lebatt, ne ha approfittato. Giovedì la giunta ha cominciato a cedere, ha accettato “negoziati diretti”. Venerdì ha liberato 235 prigionieri politici, molti arrestati alla vigilia della “marcia del milione”. Ieri notte ha mollato sul punto più importate, un calendario preciso per il passaggio dei poteri. L’intesa prevede l’istituzione di un Consiglio esecutivo supremo composto da 5 militari e 5 esponenti dell’opposizione, più un undicesimo membro che dovrà avere il gradimento di entrambe le parti. Il Consiglio per i primi 21 mesi sarà sotto la guida militare, poi il comando passerà ai civili per altri 18. E sarà condotta una «indagine trasparente e indipendente» sulle violenze del 3 giugno. Lo stesso Dagalo si è mostrato conciliante. «Questo accordo non escluderà nessuno», ha assicurato. La Sudanese Professionals Association (Spa), spina dorsale del movimento di opposizione raggruppato nelle Forces of Freedom e Change, ha aggiunto che sempre i civili nomineranno i ministri del nuovo governo, in un primo momento subordinato al Consiglio supremo. Poi verrà anche eletta un’Assemblea di 300 parlamentari, per completare la transizione democratica, e il Consiglio sciolto. La forza della non-violenza La partita non è finita, un colpo di coda è possibile, i democratici ne sono consapevoli. Dagalo, avverte Ibrahim Taha Ayoub, uno dei leader dell’opposizione e possibile futuro vicepresidente del Consiglio supremo, ha «grandi mezzi finanziari e molti appoggi». Ma, confida, «la forza del popolo sudanese è nella non violenza». Il movimento è disciplinato, ha saputo tenere «le armi fuori dalle manifestazioni, per evitare infiltrazioni», conferma il portavoce della Spa Anjed Farid. È stata la scelta vincente: «Ora continueremo la mobilitazione pacifica, di disubbidienza civile se necessario, finché la transizione democratica non sarà completa». Se ci riusciranno, il Sudan avrà dato una lezione a tutto il mondo arabo, e non solo.
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