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Diego Gabutti
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Ponti d’oro per il tiranno russo 05/07/2019

Ponti d’oro per il tiranno russo
Commento di Diego Gabutti
 

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Conte,Papa,Mattarella,Salvini...

Siamo stati troppo a lungo cittadini del paese dei cachi. Ma da quando l’Italia è sovrana, cioè da poco più d’un anno, trattiamo con rispetto solo chi ci tratta con rispetto. Vladimiro I su tutti. Ai nostri alleati – i leader dell’Unione con i quali siamo in società, stessa moneta, stesse istituzioni comunitarie, stesso declino – riserviamo il trattamento che meritano: Tizio è un ubriacone, Caio «fa il matto perché è ai minimi della popolarità», a Sempronio bacioni. Putin, invece… che leader, che signore! Abbatte le tigri bianche a fucilate. Delenda Cecenia. E la stampa sull’attenti! Idem la magistratura. Chi sgarra paga. Mica scherza, Putin. Lui sì che sa come si governa una nazione. Macron, notoriamente, è «un signorino educato che eccede in champagne» (dove «educato», fateci caso, segnala un difetto, non una virtù, e lo champagne è bumba da pescecani, da «speculatori senza scrupoli»). Putin, lui, solo vodka. Bumba virile. Tutti gli altri femminucce. Putin arriva a Roma in visita di Stato e per l’occasione la spazzatura sparisce dalle strade. (Così, almeno, si legge sui giornali. Non sembra possibile, ma in fondo perché no: questo, dopotutto, è il governo dei miracoli). Diventata da tempo la più nota, e più chiacchierata, delle attrazioni locali, ex aequo col Colosseo e con la scalinata di Piazza di Spagna, la spazzatura va bene per i romani. E per i turisti. Va bene anche per i due papi. Ma lo zar è lo zar. Mica è uno qualunque. È l’uomo che Marcello Veneziani, filosofando pericolosamente, chiama «il gigante che guida la Russia con mano sicura» sul quotidiano La Verità (non ci sono soltanto «giornaloni» ma anche giornaletti con titoloni). Mucchi di monnezza fetente offenderebbero la sua vista e il suo odorato, hanno pensato i nostri leader. Quindi via. Dove sia finita la spazzatura non è chiaro. Forse nelle case dei contribuenti romani, stipata in ogni armadio; forse nelle stanze d’albergo, un tot a turista. Fatto sta che la monnezza è scomparsa e non ha turbato gli occhi e le papille olfattive (si chiamano così?) del tiranno post sovietico mentre viaggiava dal Vaticano a Palazzo Chigi, da Palazzo Chigi al Quirinale. Un tempo, come qualcuno ricorderà, il Gigante Vladimiro era il miglior amico di Silvio Berlusconi, leader soi-disant liberaldemocratico (soi-disant, d’accordo, ma almeno lo diceva, ed era già una bella cosa). Putin regalava a Berlusconi gran lettoni dove fare bisboccia a conclusione delle serate eleganti, lo invitava alle sue feste di compleanno al Cremlino e, quando gli faceva visita in Sardegna, attraccava con una nave da guerra al largo di Porto Rotondo, proprio di fronte a Villa Certosa: roba da fare invidia ai vilain contro i quali si batteva James Bond nei film degli anni sessanta. (Posso sbagliare, ma a me è sempre sembrato che Vladimir Putin sia il fratello gemello di Vladek Sheybal, l’attore polacco che in Dalla Russia con amore interpreta la parte di Tov Kronsteen, grande scacchista e capo-stratega della Spectre). Adesso il migliore amico dello zar è Matteo Salvini, che a differenza di Berlusconi non fa nemmeno finta d’essere liberale e che, quanto a democrazia, ha un debole per quella cosiddetta «illiberale», come l’ha simpaticamente battezzata Viktor Orbán, primo ministro d’Ungheria. 
Morale: Putin è zar, padre dei popoli, sovrano di tutte le Russie, ma si deve accontentare. Del resto, se di Salvini ci accontentiamo noi, italiani finalmente «sovrani» e padroni in casa nostra, perché non dovrebbe accontentarsene lui, un extracomunitario? Per il nostro leader «il Consiglio d’Europa è un baraccone», la Corte europea per i diritti dell’uomo è «la Corte europea per i diritti dei rom» e «l’Europa un incubo». Mosca, invece! Lì sì che si ragiona. Nessuno si permette spiritosaggini sul leader. Tutti serissimi quando il grand’uomo posa per i fotografi, come Tartarino di Tarascona, con lo schioppo a spall’arm e un piede sulla carcassa della tigre bianca. Di fronte a Putin tutti abbassano gli occhi. Perché nessuno li abbassa di fronte a Gigino Di Maio? O di fronte a Salvini? E se per Natale regalassimo a entrambi uno schioppo da tirassegno e una quaglia impagliata? (A Gigetto, convinto che la Russia sia un paese mediterraneo, cosa che a Putin non dispiacerebbe, ma campa cavallo, anche un libro di geografia).

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Diego Gabutti
Già collaboratore del Giornale (di Indro Montanelli), diSette (Corriere della Sera), e di numerose testate giornalistiche, corsivista e commentatore diItalia Oggi, direttore responsabile della rivista n+1 e, tra i suoi libri: Un’avventura di Amadeo Bordiga (Longanesi,1982), C’era una volta in America, un saggio-intervista-romanzo sul cinema di Sergio Leone (Rizzoli, 1984, e Milieu, 2015); Millennium. Da Erik il Rosso al cyberspazio. Avventure filosofiche e letterarie degli ultimi dieci secoli (Rubbettino, 2003). Cospiratori e poeti, dalla Comune di Parigi al Maggio'68" (2018 Neri Pozza ed.)


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