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Panorama Rassegna Stampa
03.07.2019 Egitto: c'è chi attacca al Sisi e 'dimentica' la Fratellanza Musulmana
Così Chiara Clausi su Panorama

Testata: Panorama
Data: 03 luglio 2019
Pagina: 48
Autore: Chiara Clausi
Titolo: «Il faraone che ha spazzato via i rivali»

Riprendiamo da PANORAMA di oggi, 03/07/2019, a pag.48, con il titolo "Il faraone che ha spazzato via i rivali" il commento di Chiara Clausi.

Chiara Clausi attacca Al Sisi ma dimentica chi lo ha preceduto, ovvero il governo della Fratellanza Musulmana guidato da Mohammed Morsi, che era molto peggiore e si poneva l'obiettivo di ricreare il Califfato e imporre la sharia. Il regime di Al Sisi non è una democrazia ma un governo dispotico e autoritario, ma quello degli islamisti sarebbe molto peggio, cosa che Clausi ignora. Così come ignora il significato politico delle cosidette 'primavere arabe' organizzate dei regimi arabo-musulmani estremisti per abbattere quelli 'laici', come era in Egitto il governo di Mubarak. La si smetta poi di continuare a scrivere che Morsi era stato eletto democraticamente, anche Hitler lo fu. Consigliamo alla cronista di Panorama di studiare con più attenzione la storia del Medio Oriente, può farlo anche da casa senza andare fino a Beirut...

Ecco l'articolo:

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Benjamin Netanyhau con Al Sisi

E’ stato un colpo di scena, quasi teatrale, che ha fatto calare il sipario sulla primavera araba suggellando l'avvio di una nuova era, quella dei rais onnipotenti del Ventunesimo secolo che ha in Ahdel Fatah al Sisi il suo campione. Mohammed Morsi, primo presidente egiziano democraticamente eletto, è morto lo scorso 17 giugno in un'aula di tribunale, mentre si difendeva in uno dei tanti processi che ha dovuto affrontare dopo la sua deposizione. L'uomo dei Fratelli musulmani ha così «tolto il disturbo», stroncato da un infarto e fiaccato dalla prigionia in un carcere di massima sicurezza. Morsi - e la Fratellanza - hanno ballato un solo anno, dal 30 giugno 2012 al golpe del 3 luglio 2013, ma il destino ha voluto che il suo predecessore Hosni Mubarak, spazzato via dalle manifestazioni di piazza Tahrir, sia ancora vivo. Sembrano passati ben più di sette anni dalia rivoluzione. È un altro Egitto. Un'autocrazia, dove Al-Sisi è più potente e incontrastato di Mubarak e persino di Nasser. II generale, infatti, ha messo da parte tutti i rivali. Ma forse la sua ostilità nei confronti della Fratellanza e l'accanimento contro lo stesso Morsi potrebbero aver aperto una breccia nel suo potere monolitico.

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Il simbolo della Fratellanza Musulmana

Come spiega Karim Mezran, analista dell 'Atlantic council di Washington. «Morsi diventerà un martire all'interno della Fratellanza musulmana. È stato controproducente maltrattarlo in prigione. Aveva il diahete e non seguiva un'alimentazione adeguata». l Fratelli hanno così ritrovato una bandiera, un martire compianto e omaggiato anche dal loro grande protettore internazionale, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Difficile però prevedere una loro rinascita. «Se i Fratelli musulmani siano pronti a passare alla clandestinità e alla lotta armata resta un mistero» sottolinea Mezran. «Si è sempre detto che avessero una componente militare tenuta però sopita. Ora bisognerebbe capire quanti ne sono stati sterminati, quanti sono stati messi in galera. Nessuno lo sa veramente». Però è facile prevedere che ci sarà una recrudescenza del terrorismo e quindi della repressione. «Il colpo di stato di Al Sisi ha portato il Paese indietro di 20-30 anni. Si ripetono i cicli di allora: ci sarà un tentativo di aprire, che fallirà, inizieranno gli attentati e poi la repressione». Ma la forza di Al-Sisi non sta soltanto nell'apparato di sicurezza, rimesso a nuovo con l'aiuto dei finanziamenti sauditi ed emiratini, che gli hanno permesso uno shopping di armi ed equipaggiamenti impressionante. Certo, resta il problema dell'insurrezione islamista nel Sinai e «II gli egiziani non stanno facendo una bella figura». Al-Sisi dispone però anche di un efficace apparato di propaganda. con cui ha pubblicizzato i dati macroeconomici diffusi dal Fnti. anche se i risultati non hanno cambiato la qualità della vita della popolazione. Poi non bisogna sottovalutare che il nazionalismo in Egitto funziona sempre. «Gli stranieri non vogliono farci diventare potenti. Le potenze straniere sostengono i Fratelli musulmani per indebolire l'Egitto. Non ci voglio far diventare grandi». sono gli slogan. Al-Sisi cavalca in prima persona questa retorica: «Ho scoperto che il cittadino egiziano è il vero eroe» ha detto in un discorso trasmesso da tutte le tv «perché Ira combattuto coraggiosamente per costruire un futuro migliore per le prossime generazioni». Il potere del generale è stato blindato dal referendum del 24 aprile che con l'88,83 per cento dei voti a favore ha sancito che potrà rimanere al potere fino a12030. Per questo il nuovo faraone vuole lasciare un segno tangibile della sua era, come Nasser. A 45 chilometri dal Cairo, ancora senza nome, sorgerà la nuova capitale. Un progetto grandioso. su una superficie di 700 chilometri quadrati. dove verranno costruiti 34 ministeri, un mega centro commerciale, quartieri residenziali che ospiteranno sette milioni di persone 660 ospedali 2511 moschee, un parco quattro volte più grande di Disneyland. Per finanziare questa gigantesca trasformazione da 45 miliardi di dollari, il rais non guarda soltanto agli alleati del Gallo. Ha concluso nuovi accordi anche con Pechino all'interno della iniziativa Belt and road, inaugurando in tempi record il raddoppio del canale di Suez. Verranno realizzate nuove centrali elettriche, porti, ferrovie. Un'alleanza, quella con i cinesi, che vale già 23 miliardi di dollari. Inoltre, ha lanciato l'Egitto come hub digitale regionale per il trasferimento di dati tra tre continenti Asia, Africa ed Europa. Il tempo non gioca a favore di Al-Sisi, che ha fretta. Trenta milioni di egiziani su un totale di 104 vivono al di sotto della soglia di povertà. Al-Sisi li ha aiutati con sostegni economici a 2,2 milioni di famiglie e ha lanciato una sua Vision 2030 per ridurre la povertà a livelli fisiologici. Come Mohammed bin Salman in Arabia Saudita, Al-Sisi vuole «ristrutturare» l'economia egiziana, ancora oggi legata a una visione statalista. Sogna di farne la «fabbrica» del Medio Oriente e del Nord Africa. E punta molto anche sul Continente nero. Quest'anno ha assunto la presidenza dell'Unione africana, lanciando l'idea di una integrazione sempre più stretta. Per esempio con l'autostrada Cairo-Città del Capo che collegherà il Nord al Sudafrica e che ha visto la prima tratta, tino al confine con il Sudan, reali77ata in tempi record. In questo senso durante il forum Egitto-Sudan ha promosso I ' integrazione tra i due Paesi sulla base del principio di «fratellanza nella Valle del Nilo». Al-Sisi, come Nasser, vede l'Egitto al centro di «tre cerchi»: il mondo islamico, arabo e africano. Per questo ha rilanciato le ambizioni di leadership nel mondo arabo. L'alleanza con Riad e Abu Dhabi i vitale. perché senza i loro petrodollari l'economia egiziana non sta in piedi. Ma non è un rapporto di sudditanza. Al-Sisi, per esempio, ha puntato i piedi in Yemen, che considera parte della sua sfera di influenza. I dissensi con gli emiratini lo hanno portato a ritirare le sue truppe dalla Coalizione a guida saudita. Il principale asset internazionale è però Donald Trump. che lo ha accolto alla Casa Bianca definendolo «un amico». Il rapporto si è esteso alla figlia Ivanka. I due hanno discusso dell'emancipazione delle donne e la «vera» first lady americana ha elogiato gli sforzi compiuti dal presidente. I risultati economici e diplomatici non possono però coprire del tutto le molte ombre del regime, in apparenza granitico ma esposto alle crisi tipiche dei sistemi autoritari. Come spiega Robert Springborg, visiting professor del King's College di Londra, «Al-Sisi rientra nel modello classico del dittatore militare, i cui elementi chiave sono l'oppressione politica. la dipendenza dai militari e il disprezzo per un'attenta gestione economica. Di conseguenza deve monitorare i servizi di sicurezza perché al loro interno pus montare l'unica valida opposizione al suo governo». Anche i risultati in politica estera. con il ritrovato prestigio internazionale. hanno un lato negativo. «Il rais esalta l'indipendenza egiziana ma in realtà ha reso il Paese ancora più dipendente dal sostegno straniero, soprattutto dal Golfo». E pure il supporto occidentale è da ridimensionare perché gli alleati europei e americano «sono focalizzati solo sui loro interessi a breve termine, non su quelli dell'Egitto o della sua gente». Con l'Italia i rapporti si sono complicati nel 2016, dopo la morte di Giulio Regeni. che ha portato anche al ritiro temporaneo dell'ambasciatore italiano al Cairo. Le relazioni sono però riprese anche per i grandi interessi di Eni nel Paese, da cui l'azienda ricava 340 mila barili di petrolio l'anno e dove ha scoperto i giacimenti di gas Zohr (850 miliardi di metri cubi) e Noor (2.550 miliardi) di fronte alla costa mediterranea. Con la sua posizione strategica, le risorse naturali e demografiche, l'Egitto è troppo importante. E il rais lo sa. Per questo si pub permettere massicce violazioni dei diritti umani. Dal colpo di stato del 2013 sono state arrestate o incriminate almeno 60 mila persone, centinaia sono sparite e migliaia sono i civili giudicati in tribunali militari. Come è successo allo scrittore Alaa El Aswany, autore del bestseller Il palazzo Yacoubian, che oggi vive e insegna negli Stati Uniti. È stato citato in giudizio per «aver insultato il presidente, le forze annate e le istituzioni giudiziarie egiziane». Per questo non può più tornare in Egitto, il Paese raccontato con straordinario amore nei suoi libri.

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