Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/07/2019, a pag. 28, con il titolo "Fotogrammi prima della Shoah", l'analisi di Amedeo Osti Guerrazzi.
Amedeo Osti Guerrazzi
Si chiama «Mi ricordo» l'appello lanciato nei giorni scorsi da numerose istituzioni ebraiche, storiche e culturali. È un invito rivolto al mondo ebraico per la raccolta di filmati di famiglia, di quel patrimonio rimasto nei cassetti per decine di anni e che talvolta custodisce veri e propri tesori. Partito su iniziativa del Cdec di Milano, il progetto è supportato dal Mibac e da istituzioni presenti su quasi tutto il territorio nazionale, in modo da dare la possibilità a chiunque di partecipare: si tratta della Comunità Ebraica di Torino, del Memoriale della Shoah di Milano, del Museo Nazionale del Cinema di Torino, del Meis di Ferrara e della Fondazione Museo della Shoah di Roma, che a fine progetto metteranno il materiale a disposizione del pubblico.
Yad Vashem, il Memoriale della Shoah a Gerusalemme
Un esempio sono i film degli Ovazza, la famiglia di banchieri torinesi che nell'ottobre del 1943 fu sterminata dai nazisti sul Lago Maggiore. Questi filmati, di cui alcuni minuti sono stati già proposti al pubblico in mostre e documentari grazie alla generosità della famiglia Elkann (i pronipoti degli Ovazza), sono di straordinario interesse. Sono i volti della borghesia degli anni Trenta del Novecento, dell'alta borghesia durante il fascismo. Sono immagini che raccontano le feste, i viaggi, le escursioni, la vita quotidiana di un mondo che in parte è stato spazzato via dalla Shoah, e che rischiava di essere dimenticato per sempre. Sono i volti delle vittime, di donne, bambini, ragazzi, colti nel loro vivere quotidiano, nelle riunioni di famiglia, nella banalissima normalità di una comunità ebraica perfettamente integrata nella società italiana. Un altro esempio sono i filmati della famiglia romana Della Seta, che nel 2015 sono stati restaurati e mostrano i volti di alcuni dei deportati del 16 ottobre 1943.
Appelli per il versamento dei cimeli familiari erano stati fatti già in passato, e hanno avuto risultati straordinari, a volte fondamentali per la storia e la memoria dell'ebraismo italiano. Si pensi alla raccolta di fotografie condotta dal Centro di Documentazione Ebraica di Milano nel corso di decenni.
Grazie a essa il sito web «I nomi della Shoah italiana» contiene non solo i dati biografici di migliaia di vittime della persecuzione nazifascista, ma anche i loro ritratti fotografici. Sono i volti di chi è scomparso nei campi di sterminio o ucciso nei massacri in Italia, e quando si tratta di bambini, a volte perfino neonati, questi ritratti hanno un impatto emotivo fortissimo. I loro sguardi valgono più di qualsiasi trattato scientifico per capire l'abisso in cui è sprofondata l'umanità. Perché una cosa è parlare di numeri, di statistiche, altro è guardare negli occhi un dodicenne scomparso nelle camere a gas.
Dopo le foto, dopo gli archivi di famiglia, molti dei quali già donati da tante famiglie ebree che hanno voluto dare il proprio contributo alla storia della loro Comunità nel Novecento, è arrivato il momento delle immagini in movimento. Ovviamente l'esito di una tale raccolta è estremamente incerto. Erano poche, all'epoca, le famiglie che potevano permettersi oggetti altamente tecnologici e quindi molto costosi come le telecamere. Ma ciò che verrà trovato e messo a disposizione sarà di enorme interesse e di grandissimo aiuto per la ricostruzione della storia della società ebraica, e italiana, del Novecento.
L'appello comunque non ha un limite temporale, così come la storia dell'ebraismo italiano non si conclude con la persecuzione. Altrettanto interessanti sono gli anni del dopoguerra, del ritorno alla vita di famiglie che, nonostante tutto, decisero di rimanere in Italia dopo il 1945. È una storia complessa, difficile, caratterizzata dal lutto e dalla tenace volontà di ricostruire il Paese, quello stesso Paese che aveva discriminato e perseguitato gli ebrei. C'è da augurarsi che tante famiglie si rendano conto del valore del loro patrimonio documentario, e siano generose.
C'è però un altro aspetto di questo progetto che potrebbe portare a importanti novità. Non esistono immagini fotografiche o filmate delle razzie di ebrei avvenute in Italia durante l'occupazione nazista. L'esempio più clamoroso è quella del 16 ottobre 1943, la grande retata degli ebrei di Roma. Di questo evento esistono soltanto disegni fatti all'epoca da due testimoni diretti. È possibile che l'arresto e la deportazione di oltre mille cittadini romani non sia stato fotografato e filmato da nessuno? È possibile che privati cittadini non abbiano voluto immortalare un crimine così evidente, che poliziotti o nazisti non abbiano pensato a portarsi a casa dei «ricordi» delle loro imprese? Non lo è, a rigor di logica, e forse questo appello potrebbe portare anche a scoprire archivi e immagini di proprietà di non ebrei.
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