Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 25/06/2019 a pag.15, con il titolo "Erdogan resta senza la 'cassaforte istanbul'" il commento di Giordano Stabile
Giordano Stabile Imamoglu ha sconfitto Erdogan a Istanbul
Chi perde Istanbul «perde la Turchia», aveva avvertito Recep Tayyip Erdogan. La metropoli bicontinentale è un città simbolo, imperiale, il centro del potere di un leader turco dalle esplicite ambizioni neo-ottomane. Ma è anche un motore economico, con un quinto della popolazione e un terzo del prodotto interno lordo. La sconfitta di domenica ha quindi molti risvolti. Compreso quello, che potrebbe rivelarsi devastante, sulla macchina del partito del presidente, l’Akp. Istanbul è stata per 17 anni la sua cassaforte e anche un bancomat. La battaglia per restare al potere a Istanbul, con la sciagurata decisione di far ripetere il voto e sottoporsi a una sconfitta cocente, era anche una lotta per mantenere le mani sulla città. La vittoria del candidato del partito repubblicano Ekrem Imamoglu è stata salutata dai mercati. La lira ha guadagnato l’1,6 per cento sul dollaro, a quota 5,72, la Borsa quasi il 2. Gli investitori sperano che la sconfitta spinga Erdogan a posizioni più prudenti, specie in politica estera, dove incombono nuove sanzioni americane in caso venga confermato l’acquisto dei missili russi S-400. Il presidente turco ha fatto i complimenti al vincitore ed è sembrato più conciliante con l’opposizione. Ma Erdogan guarda già alle presidenziali del 2023. Deve raddrizzare l’economia, ricucire con Trump, e soprattutto rimettere a punto la macchina organizzativa dell’Akp, finora un rullo compressore. La capitolazione di Istanbul complicherà non poco le cose. La città ha un bilancio pari a 7,5 miliardi di dollari, quasi quanto quello della Difesa, e superiore a molti altri dicasteri, compresi Esteri e Giustizia. Nel ventennio sotto l’Akp, e ancor prima, dopo l’elezione a sindaco dello stesso Erdogan nel 1994, Istanbul è stata una macchina di appalti e affari che hanno oliato gli ingranaggi dell’Akp. Un dato sottolineato da osservatori come Berk Esen, dell’Università Bilkent, per il quale la sconfitta segna «l’inizio della fine dello stile presidenziale turco e rende difficile per l’Akp sostenersi a livello economico». L’uso del «bancomat Istanbul» è stato uno dei temi della campagna elettorale di Imamoglu, che ha promesso «trasparenza nei bilanci». L’amministrazione, soltanto nel 2018, ha distribuito 150 milioni di dollari a fondazioni caritatevoli amiche dell’Akp, un cinghia di trasmissione del consenso fra le fasce popolari. Il municipio e le controllate danno poi lavoro a 80 mila persone, cioè 80 mila famiglia, altro bacino clientelare. Erdogan però non demorde. Già dopo la prima sconfitta, lo scorso 31 marzo, aveva rimarcato come Imamoglu non avesse la maggioranza al Consiglio comunale. E per questo lo aveva definito «un’anatra zoppa». Il sindaco, che punta sul buon governo per lanciarsi alle presidenziali del 2023, dovrà affrontare un Vietnam e il centro della guerriglia saranno aziende partecipate e appalti. Sono imprese di grosse dimensioni, molte fra le prime 500 del Paese, al centro di una metropoli che cresce a ritmi frenetici e si sta dotando di infrastrutture di livello mondiale, a cominciare dal nuovo aeroporto che punta a 200 milioni di passeggeri all’anno. In vista della sconfitta definitiva, l’Akp aveva già preparato una modifica legislativa per sottrarre competenze alla municipalità. La normativa punta ad affidare al presidente della Repubblica, invece che al sindaco, il potere di autorizzare i principali contratti. Mega appalti, a partire dallo stesso aeroporto e il terzo ponte sul Bosforo, che finora sono finiti quasi sempre ad aziende amiche, come Kalyon, Kolin, Limak. La mossa di togliere a Imamoglu la possibilità di indirizzare e regolare il futuro sviluppo della metropoli potrebbe però essere controproducente. Il neosindaco diventerebbe l’alfiere di una politica pulita, senza intrecci affaristici. Un secondo passo falso per Erdogan, forse questa volta fatale
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