Trump non bombarda l'Iran, preferisce sconfiggerlo diversamente, ma indispettisce la sinistra che non sa più cosa inventarsi per attaccarlo. Anche al Foglio entra in crisi la linea-insulto a Trump da sempre voluta da Ferrara, per cui l'ordine adesso è: attaccare Bolton. Penoso.
Ironico e veritiero l'articolo di Glauco Maggi su LIBERO di oggi, 25/06/2019, a pag.11, penoso il commento di Daniele Raineri, solitamente equilibrato, contro John Bolton, un diktat firmato Ferrara che non sa più cosa inventare per attaccare Trump, sul FOGLIO a pag.1
Li riprendiamo entrambi:
Libero-Glauco Maggi: "La sinistra attacca Trump perchè non bombarda"
Glauco Maggi
Erano tutti pronti ad andare addosso al guerrafondaio della Casa Bianca e invece si devono arrampicare sugli specchi per continuare a criticarlo senza sconti, anche se non ha premuto il grilletto contro l'Iran. «L'inversione di Trump è stata il culmine di 24 ore furiose e frenetiche segnate da atti pubblici incoerenti, confusione e sbigottimento in Congresso e palpabile preoccupazione tra gli esperti della sicurezza nazionale che l'amministrazione avrebbe potuto inavvertitamente inciampare in quel tipo di conflitto sanguinoso in Medio Oriente che il presidente aveva combattuto con tanto vigore in campagna elettorale», ha scritto il Washington Post. Trump, cioè, ha tenuto fede in sostanza al suo impegno a non scatenare una guerra a tutto tondo evitando le pressioni dei falchi nel suo governo a rispondere con il fuoco Usa all'abbattimento del drone. Non è «inciampato». Ha pesato le opzioni possibili, e non è stato con le mani in mano.
EFFICACIA Ha scatenato due mosse efficaci e di bassa eco mediatica, che non deflagrano nei titoli dei giornali come un bombardamento in un porto del Golfo Persico, ma fanno più male al governo iraniano: l'attacco cybernetico ai server di Teheran per minare il funzionamento del sistema missilistico, e l'appesantimento delle sanzioni, già devastanti, che strangolano l'economia dell'Iran. Ha avuto gli applausi dei pacifisti, Trump, per non aver scatenato i suoi generali? Figuriamoci. «Un'altra vuota minaccia da parte di un leader il cui abbaiare è costantemente peggiore dei suoi morsi... L'evidenza di un processo decisionale erratico», ha rincarato il New York Times, «ha intensificato i dubbi globali sulla capacità di giudizio del presidente e sul potere esercitato dagli Stati Uniti. Visto in termini più generali, il voltafaccia di Trump viene dipinto come il proseguimento di un modello familiare di un comportanento inaffidabile». Per i suoi critici di sinistra (e di destra) il destino del Trump «inaffidabile», anzi irresponsabile, assolutamente «non adatto» a fare il presidente, era già segnato da prima che lo diventasse: chi non ricorda Hillary Clinton, nel dibattito televisivo decisivo a poche settimane dal voto, lanciare l'allarme che l'America non poteva affidare a Trump il «bottone per la bomba atomica»? La Democratica era arrivata a dire che conosceva dieci militari, addetti al procedimento del rilascio dell'ordigno nucleare, che si sarebbero opposti nel caso il suo avversario si fosse trovato nella situazione di dare quell'ordine.
I PRECEDENTI
Da quando è il comandante in capo, in realtà, Trump ha usato i missili Usa con efficacia devastante, e con grande moderazione e misura. L'Isis, distrutto, è la testimonianza del primo approccio. E per il secondo parla la Siria di Assad, che usò le armi chimiche e fu punita chirurgicamente da Trump (dopo essere stata graziata da Obama). Trump, peraltro, ha pure provato ad aprire nuovi "fronti di pace". Il mondo, nel 2017, aveva il fiato sospeso per le mattane del dittatore nordcoreano di Pyongyang, test nucleari a raffica e missili pronti a colpire le Hawaii? Trump ingaggiò l'ormai famoso scambio di offese verbali con Kim Jong-un («Ho il bottone nucleare più grande del tuo», disse), convincendolo a meeting e trattative che piacciono anche alla Corea del Sud e che potrebbero, chissà, concludersi bene. Contro il Trump pacifista è scesa in campo anche la vicepresidente della Commissione degli Affari Esteri del parlamento francese, Mireille Clapot, del partito del presidente Macron. «Ciò che Trump dice o fa è di sicuro quello che lui pensa sia la cosa migliore per gli Stati Uniti. Io non posso certificare che sia un bene per il mondo intero». Ma per spingere un presidente americano a fare la guerra c'è un metodo sicuro: dargli il Nobel per la pace.
Il Foglio-Daniele Raineri: "La fine di John Bolton"
Daniele Raineri
Il consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, ha posizioni così diverse dal suo presidente, Donald Trump, che dopo il raid aereo contro l’Iran bloccato all’ultimo momento giovedì scorso non si vede come potrà continuare a fare il suo lavoro con un minimo di credibilità. O va verso le dimissioni oppure resterà come una figura in declino dentro l’Amministrazione. E’ diventato uno strano tipo di consigliere i cui consigli sono ignorati – anzi il consigliato fa spesso l’opposto. Una settimana fa il Washington Post ha pubblicato un resoconto interessante che spiegava come Trump abbia perso ogni interesse alla questione venezuelana. Credeva che buttare giù il regime di Maduro sarebbe stato più facile, credeva che sarebbe bastato appoggiare l’opposizione per qualche settimana e che al momento del crollo del regime l’Amministrazione Trump si sarebbe trovata dal lato giusto della storia: la fine di un sistema di potere socialista che aveva ridotto un paese alla fame. L’uomo che lo aveva convinto che tutto questo fosse possibile in tempi rapidi è Bolton, ma poi nella realtà le cose sono andate in modo diverso. L’opposizione, sebbene raccolga molti consensi, non ha la forza necessaria a scalzare Maduro. Il Venezuela è alla fame, ma il cambiamento se avverrà seguirà fasi più lente – e questa lentezza non interessa più a Trump, lui voleva vedere eventi storici durante il suo mandato, anzi: voleva essere il fattore determinante. Oggi il suo disinteresse per il Venezuela è per transfert anche un disinteresse ostile contro Bolton. Giovedì scorso questa perdita di interesse si è svelata in un modo sensazionale. Gli iraniani hanno abbattuto con un missile terraaria un velivolo da 130 milioni di dollari americano che – secondo il Pentagono – volava in alta quota sopra acque internazionali. Era lo scenario credibile per un bombardamento punitivo contro alcune basi militari dell’Iran, ma Trump ha bloccato l’operazione mentre era in corso. Per tutto il giorno aveva discusso l’azione con il suo staff alla Casa Bianca.Bolton, il segretario di Stato Mike Pompeo e la direttrice della Cia Gina Haspel erano a favore dell’azione. Poi, quando i bombardieri erano già in volo verso i bersagli, ha fermato il raid. “Se fosse per lui, faremmo la guerra a tutto il mondo contemporaneamente”, ha detto ieri Trump parlando di Bolton e non sembra un granché come endorsement. Secondo il Wall Street Journal, venerdì scorso il presidente ha detto a un suo confidente che i membri dell’Amministrazione che lo spingono verso la guerra contro l’Iran “sono disgustosi”. L’articolo non fa nomi, ma il pensiero di tutti va subito a Bolton. Durante la crisi con l’Iran (che non è ancora finita), Trump si è comportato all’opposto di come suggeriva il consigliere. Ha minimizzato gli attacchi del 13 giugno alle quattro petroliere nel mare dell’Oman e li ha definiti “very very minor” – quindi un episodio che non basta a giustificare un’operazione militare americana. Ha argomentato che il 91 per cento del petrolio destinato alla Cina passa dallo Stretto di Hormuz e quindi non vede perché dovrebbe essere l’America a garantire la sicurezza delle navi. Il 20 giugno ha detto che l’abbattimento del drone americano da 130 milioni di dollari è da attribuire a qualche iraniano “loose and stupid”, come se per lui si fosse quasi trattato di un errore militare. Inoltre ha avvertito in anticipo gli iraniani che stavano per essere bombardati e nello stesso messaggio ha detto che lui vuole i “talks”, i negoziati. Infine ha ringraziato gli iraniani per non avere abbattuto un aereo con 35 militari americani a bordo che era in volo vicino al drone colpito. Ha detto anche di avere amici iraniani a New York. La Fox, il canale tv dei conservatori che è il megafono della posizione trumpiana, lo appoggia in tutto e per tutto e osteggia Bolton – ed è un fatto curioso, perché dopotutto il consigliere per la Sicurezza nazionale non è arrivato per caso dentro l’Amministrazione americana: è stato scelto da Trump e la sua linea politica era già molto nota. La carriera di Bolton come consigliere destinato a essere smentito in modo plateale dal presidente era cominciata un anno fa a proposito del dossier Corea del nord. A fine febbraio aveva pubblicato un editoriale sul Wall Street Journal per sostenere la possibilità di uno strike preventivo contro Kim Jong Un. Ad aprile era stato chiamato da Trump alla Casa Bianca per fare il consigliere per la Sicurezza nazionale e aveva dovuto assistere alle aperture spettacolari del presidente americano verso Kim, culminate nell’incon - tro di Hanoi – che poi si è concluso in un nulla di fatto. Forse Bolton siede alla Casa Bianca con il compito di ricordare a tutti che l’America, se volesse, potrebbe sempre ricorrere all’efficacia brutale della forza militare.
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