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La Stampa Rassegna Stampa
22.06.2019 Trump, la sfida degli ayatollah e la ricetta di Teddy Roosevelt
Commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 22 giugno 2019
Pagina: 22
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Trump, la sfida degli ayatollah e la ricetta di Teddy Roosevelt»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/06/2019, a pag.22, con il titolo " Trump, la sfida degli ayatollah e la ricetta di Teddy Roosevelt" la risposta del direttore Maurizio Molinari a un lettore.

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Maurizio Molinari

Caro Direttore,
l'abbattimento del drone americano da parte dell'Iran ripropone il duello fra Washington e il suo maggiore rivale in Medio Oriente, con il risultato di timori di conflitto aperto in una regione di importanza cruciale per gli equilibri nel Pianeta. Perché siamo arrivati a questo punto? Quanto è realistico lo scenario di una guerra fra Stati Uniti e Iran e, se avvenisse, quali sarebbero le conseguenze per l'Europa?

Luca Angelini, Vercelli

Caro Angelini,
l'abbattimento del drone Usa dimostra che la Repubblica islamica dell'Iran dispone di un formidabile arsenale militare ed ha deciso di adoperarlo per obbligare il presidente Trump a scendere a patti. Fino a questo momento era stato Trump ad avere l'iniziativa con Teheran: prima ha denunciato l'accordo sul nucleare del 2015, poi ha varato contro l'Iran le sanzioni più dure di sempre e quindi ha messo all'indice come organizzazione terroristica i Guardiani della rivoluzione ovvero il pilastro militare su cui si regge da 1979 il regime degli ayatollah. Tali e tante mosse hanno messo Teheran nell'angolo anche grazie ad una crescente cooperazione politico-militare fra Paesi sunniti e Israele che resta ancora in gran parte coperta dal più stretto riserbo. Trump è così riuscito a ribaltare la situazione di debolezza Usa nella regione ereditata dal predecessore Obama e Teheran si trova ora in evidente affanno nel perseguire la sua strategia di egemonia regionale. La contromossa degli ayatollah è stata così di iniziare a sfidare Trump: prima gli attacchi contro le sedi diplomatiche Usa in Iraq, poi la ripresa dell'arricchimento dell'uranio minacciando di violare proprio l'accordo del 2015, quindi le mine contro le petroliere in navigazione nel Golfo per minacciare il mercato del greggio e infine il fuoco aperto contro droni americani. Si tratta di un'escalation di provocazioni che - unite al lancio di missili contro gli aeroporti civili sauditi da parte dei ribelli sciiti Houthi alleati di Teheran - punta a obbligare Trump a sedersi al tavolo con gli ayatollah per definire un nuovo equilibrio nel Golfo. La tattica di minacciare l'uso o usare le armi (convenzionali o nucleari) per ottenere concessioni politiche dagli Stati Uniti ricorda da vicino l'approccio della Nord Corea di Kim Jong-un, riuscito ad ottenere in questo modo due summit con Trump. Proprio il precedente nordcoreano consente di comprendere la reazione di Trump al drone abbattuto perché la Casa Bianca ha fatto levare in aria i jet minacciando in maniera assai esplicita un raid militare che però non è avvenuto. Ovvero, Trump ha fatto capire a Teheran che nel gioco delle minacce incrociate sono gli ayatollah a rischiare la peggio. È un approccio che evoca il principio che distinse il presidente Theodore Roosevelt - oltre un secolo fa - nelle relazioni internazionali: «Parla con toni moderati portando sempre con te un grosso bastone, e vedrai che andrai lontano». Ovvero, mostrare la propria potenza militare ed economica può essere molto efficace per negoziare con gli avversari più spregiudicati. Ecco perché lo scambio di segnali aggressivi Usa-Iran nel Golfo può portare Trump ad avere un dialogo diretto, a tutto campo, con l'Iran di Ali Khamenei. All'Europa, priva di una politica estera e arroccata nella difesa passiva della assai debole intesa del 2015, non resta che guardare a distanza il ritorno di un duello brutale fra potenze che evoca i secoli passati.

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