Crocifisso nei luoghi pubblici? Meglio la bandiera italiana con quella europea Commento di Elena Loewenthal
Testata: La Stampa Data: 14 giugno 2019 Pagina: 25 Autore: Elena Loewenthal Titolo: «Una soluzione tricolore alla disputa sul crocefisso nei luoghi pubblici»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/06/2019, a pag.25 con il titolo "Una soluzione tricolore alla disputa sul crocefisso nei luoghi pubblici" il commento di Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal
La circolare del direttore di presidio dell’ospedale di Chivasso è arrivata qualche giorno fa. Con decorrenza dal 10 giugno, prescriveva e raccomandava di riposizionare in tutte le stanze di degenza i crocefissi rimossi per ragioni di «manutenzione», ha spiegato il direttore in seguito alle polemiche che il provvedimento ha suscitato: i crocefissi ci sono sempre stati, dove sta il problema? «Gli anziani ci tengono, ma se qualcuno non lo vuole lo togliamo».
Non è del resto difficile leggere in questo slancio amministrativo – e mediatico – anche un vago intento di compiacenza politica, dopo il recente gesto pubblico di baciare il rosario da parte del ministro degli Interni, nel caldo della campagna elettorale. Che sia di pura manutenzione ordinaria o slancio d’iniziativa, il provvedimento dell’ospedale di Chivasso desta alcune riflessioni a più ampio raggio e offre l’occcasione per una proposta che potrebbe essere capace di tracciare un percorso alternativo a un legittimo rifiuto del crocefisso nei luoghi pubblici in nome del laicismo e all’evidenza che nell’Italia di oggi non tutti si identificano in quel simbolo religioso, con il dovuto rispetto per i potenti valori spirituali che esso porta con sé. D’altro canto, negare tout court ogni spazio pubblico al crocefisso è l’ennesima replica di un annoso copione già visto tante volte in passato, in nome di una battaglia per il «vuoto» simbolico che evidentemente non ha dato i frutti culturali sperati, visto che la questione si ripresenta puntualmente. Viviamo in un presente del visuale. La rete è sempre più fatta di immagini. La nostra comunicazione pubblica e privata è ormai ancorata a ideogrammi che poco hanno a che vedere con la narrazione «verbale»: foto, video, emoticon. Tutto diventa immagine. Ciononostante, vi sono anche simboli che scompaiono. Il simbolo è il segno visivo, è il contenuto di un messaggio molto più ampio di ciò che lo contiene. Questa è la forza del simbolo: la capacità di essere narrazione. Ma, quasi per paradosso, vi sono simboli potenti e profondamente eloquenti che in questo presente hanno perso visibilità. Invece di stigmatizzare la ricomparsa del crocefisso nei luoghi pubblici, di protestare e invocarne la rimozione in nome di una società laica, moderna e aperta, perché non si invoca la presenza di una simbologia alternativa, che non sia divisiva? Questa simbologia esiste, eccome: sta nella bandiera. Quella italiana e quella europea. Nessuno potrebbe mettere in discussione questi due simboli, anche se ne riconosce altri: l’identità non è mai un fatto singolo ma sempre complesso, plurale. Ma nelle stanze d’ospedale, nelle aule di scuola, negli uffici pubblici, la bandiera italiana e quella europea, anche se di piccolo formato, sarebbero al posto giusto. Questi sono i simboli in cui non ci si può non riconoscere, in cui tutti dobbiamo riconoscerci. Non l’assenza del segno religioso rimosso e il vuoto nello spazio bianco sotto il chiodo infisso nel muro, ma un’alternativa laica, unificante, innegabile. Questa sì che sarebbe narrazione di appartenenza. Essere contro i sovranismi non significa infatti rinnegare la propria identità, anzi. Significa esserne consapevoli e integrarla tanto in un sistema più ampio quanto «segnarla» nello spazio pubblico, foss’anche quello angusto e dolente di una stanza d’ospedale.
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