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La Stampa Rassegna Stampa
14.06.2019 Iran: colpite due petroliere, gli ayatollah tirano la corda
Cronaca di Giordano Stabile, Paolo Mastrolilli intervista Daniel Pipes

Testata: La Stampa
Data: 14 giugno 2019
Pagina: 12
Autore: Giordano Stabile - Paolo Mastrolilli
Titolo: «Petroliere in fiamme nel golfo dell’Oman. Washington: è stato un attacco iraniano - 'Gli ayatollah vogliono mettere alla prova gli Usa. Così tentano di consolidare il consenso interno'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/06/2019, a pag.12 con il titolo "Petroliere in fiamme nel golfo dell’Oman. Washington: è stato un attacco iraniano", la cronaca di Giordano Stabile; con il titolo 'Gli ayatollah vogliono mettere alla prova gli Usa. Così tentano di consolidare il consenso interno', l'intervista di Paolo Mastrolilli a Daniel Pipes.

A destra: una delle due petroliere in fiamme

Il SOLE24ORE titola "Golfo di Oman, due petroliere attaccate. Greggio in aumento". In questo modo non è chiaro chi ha attaccato, cioè l'Iran terrorista degli ayatollah. Una confusione colpevole che è l'anticamenra della disinformazione. La linea dei nostri imprenditori.
Riesce a fare peggio il MANIFESTO, che con il titolo "Il Golfo va a fuoco e Pompeo accusa l'Iran" rovescia addirittura le responsabilità dall'Iran sugli Stati Uniti.

Ecco gli articoli:

Giordano Stabile: "Petroliere in fiamme nel golfo dell’Oman. Washington: è stato un attacco iraniano"

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Giordano Stabile

Due petroliere in fiamme nel golfo dell’Oman, sulla rotta dove passa un quinto di tutto il greggio consumato nel mondo. Uno scenario da incubo che non si è trasformato in una strage di marinai soltanto perché le navi sono state colpite al di sopra della linea di galleggiamento e gli equipaggi sono stati tratti in salvo da navi iraniane e statunitensi.
L’attacco ha fatto impazzire i prezzi del petrolio, salito del 4 per cento in poche ore, e portato alle stelle le tensioni fra l’Iran e gli Stati Uniti. Il tutto mentre il premier giapponese Shinzo Abe era a colloquio con la guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei, e gli aveva appena consegnato una lettera di richieste da parte del presidente americano Donald Trump. Qualcuno, è il sospetto di molti, ha voluto far saltare la possibile mediazione.

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Gli attacchi
Sono le sei del mattino quando cominciano gli attacchi. La prima petroliera colpita è la Kakuka Courageous, di proprietà giapponese, che trasporta un carico di metanolo dall’Arabia Saudita a Singapore, centrata due volte a 26 chilometri dalle coste iraniane. L’altra è la Front Altair, nave norvegese con un carico di 75 mila tonnellate di nafta, diretta dal porto emiratino di Ruwais a Taiwan e raggiunta «da un siluro», secondo il ministro del Commercio nipponico. È la situazione più critica, perché a bordo si sviluppa un incendio incontrollabile che coinvolge anche la sala motori. Ieri sera era inclinata sul fianco destro e a serio rischio di affondamento. Il siluramento non è però la sola ipotesi. L’altra è che commando subacquei abbiano piazzato esplosivi sulle fiancate, oppure che le navi abbiamo urtato mine. Un ordigno inesploso viene trovato vicino all’Oman.
Sul luogo del disastro incrociano navi militari iraniane e statunitensi. Teheran comunica di aver tratto in salvo e condotto nel porto di Bandar Abbas 21 marinai dalla Kokuka Courageous e 23 dalla Front Altair. L’americana USS Bainbridge porta invece gli altri in Oman. La solidarietà in mare non stempera però le tensioni fra i due Paesi. In serata il segretario di Stato Mike Pompeo accusa l’Iran di essere «il responsabile» degli attacchi e di voler bloccare «il flusso di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuz» per «colpire gli alleati degli Stati Uniti» e alimentare le tensioni mondiali.

Le accuse
Anche l’Arabia Saudita puntato il dito contro la Repubblica islamica che «da quarant’anni porta caos e morte nella regione», mentre Mosca invita a non «accusare subito l’Iran». Per il ministro degli Esteri iraniano Jawad Zarif la tempistica degli attacchi è però «a dir poco sospetta», perché condotti proprio quando Abe e Khamenei erano impegnati in «approfonditi e amichevoli colloqui». Per l’analista libanese Elijah Magnier, che pure non esclude che l’Iran possa esser dietro un altro attacco, quello del 12 maggio a 4 petroliere davanti alle coste degli Emirati, è «poco probabile» che Teheran abbia voluto rilanciare l’escalation durante la visita del leader giapponese.

Analisti israeliani sostengono invece che la circostanza era propizia proprio per allontanare i sospetti. Anche perché Khamenei ha gelato Abe e, nonostante il riconoscimento della sua «buona volontà», gli ha detto che non risponderà a Trump «per non ripetere gli errori del passato». Cioè, non si fanno accordi con l’America. Dal canto suo Trump ha twittato ieri sera: «Penso sia troppo presto addirittura per pensate di fare un accordo. Loro non sono pronti, e neppure noi!» .
È possibile che l’ala oltranzista dei Pasdaran abbia voluto affossare ogni possibile mediazione e lanciare un’ulteriore sfida dopo gli attacchi del 12 maggio. Nel frattempo gli Stati Uniti hanno inviato nel golfo dell’Oman la portaerei a propulsione nucleare Abraham Lincoln e bombardieri B-52 nelle loro basi nel Golfo e ieri notte hanno chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, a porte chiuse. La rotta del petrolio è sempre più affollata e basta un nulla a incendiarla.

Paolo Mastrolilli: 'Gli ayatollah vogliono mettere alla prova gli Usa. Così tentano di consolidare il consenso interno'

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Paolo Mastrolilli

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Daniel Pipes

«Il regime iraniano vuole mettere alla prova gli Stati Uniti, e spera di usare le tensioni crescenti per consolidare il suo consenso interno». È l’analisi di Daniel Pipes, presidente del Middle East Forum, per spiegare gli attacchi alle petroliere.
Lei pensa che li abbia ordinati Teheran?
«È difficile immaginare un’altra entità che abbia la forza e l’interesse a condurre simili operazioni».
Quale interesse?
«Questo è un argomento più complesso da analizzare. L’ipotesi più probabile è che l’Iran voglia mettere alla prova gli Stati Uniti, perché non pensa che il presidente Trump sia davvero intenzionato ad ordinare un intervento militare».
Quale sarebbe la convenienza politica di questa strategia?
«Il regime è in difficoltà, a causa delle sanzioni economiche e l’abbandono dell’accordo nucleare da parte degli Usa. Alzando la tensione spera di compattare il suo popolo, rafforzando il proprio consenso davanti alla minaccia americana di attaccare il Paese».
Ma così non rischia un’escalation, che potrebbe portare ad una guerra devastante per la Repubblica islamica?
«La scommessa di Teheran è che Washington non sia veramente intenzionata a scatenare un conflitto».
È una scommessa sensata?
«Trump ha dimostrato in generale che non vuole coinvolgere gli Stati Uniti in interventi militari, e nel caso specifico dell’Iran ha detto pubblicamente che la sua preferenza sarebbe per riaprire il negoziato e concludere un nuovo accordo più vantaggioso. Però le provocazioni degli ayatollah sono pericolose, perché il capo della Casa Bianca ha anche fatto capire che la Repubblica islamica ha un peso diverso dagli altri Paesi nei suoi calcoli strategici, e quindi potrebbe ricevere una reazione diversa».
A cosa pensa?
«Le opzioni sono molte, si va da un possibile attacco mirato contro le strutture del programma nucleare, ad un intervento più ampio».
Lo ritiene probabile?
«Non probabile, ma possibile, soprattutto se avvenisse qualche incidente che potrebbe provocarlo».
Vede un collegamento con il piano di pace per il Medio Oriente e la prossima conferenza in Bahrein?
«No, perché per l’Iran è una questione secondaria, e comunque entrambi non avranno un grande successo».
Il ministro degli Esteri Zarif ha avanzato il sospetto che qualcun altro stia lanciando questi attacchi, per provocare l’intervento.
«La propaganda iraniana è sempre formidabile».

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