Si racconta che a Vienna intorno al 1870 un certo ragazzo di nome Theodor disse un giorno a un amico " Per noi ebrei non c'e' che un mezzo per diventare una nazione rispettata. Andarcene in Israele".
Pare che Theodor in seguito avesse dimenticato tutto questo. Era diventato un ebreo assimilato, viaggiava, scriveva, si divertiva, finche' un giorno, a Parigi per assistere al processo Dreyfus, senti' un grido che lo sconvolse: "Morte agli ebrei". Le strade di Parigi percorse da orde di cittadini francesi a caccia di ebrei da pestare, ammazzare ancora una volta. Un ennesimo Pogrom.
La Francia che fu la prima nazione europea a riconoscere negli ebrei degli "esseri umani" cui conferi', unica in Europa, i diritti civili, stava dimostrando che nemmeno in quel paese gli ebrei potevano sentirsi sicuri, a casa. La supposta colpa di uno diventava la colpa del popolo intero.
Quel grido "Morte agli ebrei" trasformo' Theodor, il giornalista gaudente e spensieratamente assimilato, in THeodor Herzl, il moderno Mose' , l'uomo che avrebbe fatto rinascere una Nazione dispersa per duemila anni e che avrebbe riportato gli ebrei in Israele, la Terra Promessa prima a Abraham e dopo a Mose' che doveva liberarli dalla schiavitu' dei Faraoni.
Per un tragico comune destino Mose' non pote' entrare nella Terra del latte e del Miele e Herzl mori' a soli 44 anni, senza poter assistere alla conclusione del suo sogno.
I fratelli del mio bisnonno lasciarono Trieste molti anni prima che Theodor Herzl pensasse di liberare gli ebrei dall'Europa per farli diventare diventare uomini in Israele.
Non piu' ombre striscianti, piegate in due contro i muri a Parigi, Londra, Budapest, Varsavia ma uomini a testa alta, uomini orgogliosi. Uomini che avevano dimenticato di essere studiosi e intellettuali per mettersi a lavorare la terra tra le dune sabbiose della Palestina dimenticata da tutti ma non dal Popolo le cui radici erano ancora la' dopo duemila anni di diaspora e sofferenze indicibili.
"L'anno prossimo a Gerusalemme" per duemila anni ad ogni Seder di Pesach
Dune sabbiose trovarono Mayer e David nella Terra Promessa, trovarono la malaria e il tracoma. Tel Aviv non esisteva ancora, Gerusalemme era un villaggio povero e trascurato dove si aggiravano come ombre i rabbini studiosi della Thora'.
Era il 1890, le strade erano mulattiere, le case dei pochi villaggi arabi erano fatte di fango, non esistevano scuole se non le yeshivot ebraiche. Yavne antico villaggio ebraico, centro di grandi rabbini, aveva l'unica scuola della zona. Le condizioni sanitarie erano orribili. Gli arabi , i fellahin, abitavano in aree desertiche, coltivavano il loro orto ma tutto il resto era pietraia e sabbia .
Scriveva Lewis French, responsabile della Commissione Reale Palestinese, nel 1913 " I villaggi sono pochi e semiabitati, la malaria e' padrona, le lotte tra fellahin e beduini rendono la zona molto pericolosa".
E allora Mayer e David, con gli altri ebrei che arrivavano dall'Europa incominciarono ad organizzarsi, le loro schiene non abituate a lavorare la terra, si piegarono sulla sabbia e lavorarono, lavorarono, lavorarono e dissodarono, e piantarono alberi di eucaliptus per bonificare le paludi e debellare la malaria, introdussero misure igieniche per combattere le mosche responsabili del tracoma che accecava i bambini arabi.
E con amore e pazienza, con coraggio e orgoglio, costruirono Tel Aviv, risistemarono le citta' sante dell'ebraismo e i villaggi, dalle dune crebbero i primi fili d'erba, i primi fiori, le coltivazioni di agrumi, piantarono alberi; si, 280 milioni di alberi, e diedero il benvenuto ad altri ebrei che arrivavano dall'Europa sull'onda del movimento sionista.
Arrivavano gli ebrei erranti d'Europa, pronti a lavorare, a fare i contadini per la prima volta nella loro storia e portavano tutti con se' i loro libri e il ritratto di un uomo alto, con un'enorme barba nera, con gli occhi da profeta, occhi colmi di ardore e della follia di un sogno , un unico sogno.
Portavano con se' quel ritratto e nel cuore le parole di una canzone dal titolo "SPERANZA - HATIKVA".
Sarebbe diventato l'Inno nazionale di Israele.
Ebrei polacchi, ebrei ungheresi, ebrei russi, ebrei cecoslovacchi, ebrei rumeni, galiziani, ebrei sudditi , ebrei schiavi, arrivavano senza sosta e in Palestina trovavano tanti Mayer e David che gli mettevano in mano pala e piccone, gli facevano deporre i libri sulle brande e gli intimavano di alzare la testa, di stare dritti e di sentirsi finalmente e soltanto ebrei. Liberi, con orgoglio e con coraggio.
Dopo qualche anno arrivarono altri ebrei, erano trasparenti, grigi, cadaveri viventi, l'inferno negli occhi, bambini senza genitori, genitori senza bambini, nonni senza nipoti, folli di paura e di dolore, ebrei disperati sopravissuti all'inferno d'Europa che adesso scappavano dagli inglesi per poter trovare ancora una volta la forza di vivere nella loro Terra, Erez, Erez Israel.
Scendevano faticosamente dalle navi per accucciarsi nelle barche di coloro che andavano a prenderli per salvarli e portarli sulla terra ferma.Qualcuno con piu' forze, si gettava in mare per arrivare prima delle barche alla Terra Promessa.
E nel momento in cui toccavano Erez Israel, senza capire piu' niente, camminavano come sonnabuli sulla spiaggia verso i camion che li avrebbero portati verso gli yishuvim e i kibbuzim.
Questi ebrei non dovevano solo imparare a tenere la testa alta , con l'orgoglio della liberta', dovevano imparare a dormire senza incubi, a chiudere gli occhi senza urlare di paura, a mangiare senza avere i crampi, dovevano imparare a vivere senza i loro figli, i loro genitori, i loro nonni, dovevano imparare la vita e la speranza.
La Speranza della canzone "Atikva'":
*Fintanto che in fondo al cuore
un anima ebrea vibrera'
e che verso l'oriente lontano
i nostri occhi cercheranno Sion
la nostra speranza non e' morta".
Tramontava il sole in Erez Israel, una palla di fuoco enorme e tutti gli ebrei che avevano detto addio a Trieste, Praga, Parigi, Varsavia, Budapest dicevano finalmente : "SHALOM ISRAEL".