Giuseppe Agliastro
Ivan Golunov è di nuovo libero. Dopo cinque giorni di inferno, il giornalista russo specializzato in inchieste sulla corruzione è stato scagionato dalle improbabili accuse di spaccio di droga rivoltegli dalla polizia. Di fronte allo scalpore e all’indignazione che il caso ha suscitato in Russia e in tutto il mondo, il Cremlino alla fine è stato costretto a fare marcia indietro: contro Golunov «non ci sono prove», ha ammesso ieri il ministro dell’Interno Vladimir Kolokoltsev dopo che alcuni test hanno dato esito negativo. Di fatto una conferma che qualcuno aveva cercato di incastrare il reporter.
Ivan Golunov
Le mosse di Navalny
La «meravigliosa notizia» è stata subito salutata con entusiasmo dagli ambienti liberali. Per l’oppositore Aleksey Navalny, che le carceri russe le conosce bene, la storia di Ivan è «un esempio stimolante e motivante di ciò che si può ottenere con la semplice solidarietà alle persone perseguitate». Soddisfatti anche gli attivisti di Reporter Senza Frontiere, che plaudono alla «storica mobilitazione della società civile russa».
Lunedì i tre principali quotidiani liberali del Paese - Vedomosti, Rbk e Kommersant - avevano dedicato l’intera prima pagina alla vicenda con un comune titolo a nove colonne: «Io, noi siamo Ivan Golunov». Centinaia di persone erano scese in piazza la settimana scorsa e anche oggi che si celebra il Giorno della Russia era prevista una manifestazione di solidarietà a favore del giornalista.
Aleksey Navalny
La sospensione degli agenti
Ivan era stato fermato dalla polizia giovedì pomeriggio nel centro di Mosca. Gli agenti sostenevano di avergli trovato 3,5 grammi di droga sintetica (mefedrone) nello zaino e poi 5,4 grammi di cocaina e vari strumenti da pusher nell’appartamento in cui vive. Ma molti elementi non quadravano.
Ivan è stato picchiato brutalmente dagli agenti e due giorni dopo le violenze è finito in ospedale per una sospetta commozione cerebrale. Solo 12 ore dopo il fermo ha potuto chiamare un avvocato. Il suo legale ritiene che siano stati gli stessi poliziotti a mettergli la droga nello zaino e nell’appartamento. Anche perché, stranamente, le foto dell’abitazione pubblicate online dal ministero dell’Interno come prova dell’attività di spaccio non erano neanche state scattate nell’appartamento del reporter.
Ieri sera, dopo la revoca dei domiciliari, Ivan ha ringraziato in lacrime chi lo ha sostenuto. Adesso qualcuno pagherà. Gli agenti che lo hanno arrestato sono stati sospesi, ma il ministro dell’Interno ora vuole anche la testa di due generali.