Il padre di mia nonna era scappato dalla Russia per evitare il servizio militare di 35 anni obbligatorio per gli ebrei e per tentare di arrivare nella Terra, in Erez, allora Palestina ottomana.
Aveva attraversato l'Europa a piedi , insieme ai suoi fratelli, per arrivare in un porto del mare Adriatico e da la' imbarcarsi per la Terra dove arrivavano sempre piu' numerosi gli ebrei dell'est in fuga dai pogrom e da persecuzioni di ogni genere.
In Ungheria una zingara gli aveva letto la mano: " Arriverai in una citta' sul mare. La' ti fermerai, avrai cinque figli e morirai giovane".
Il padre di mia nonna arrivo' a Trieste dove si innamoro' di un'ebrea greca fuggita con la famiglia da Corfu' a causa di un pogrom che sconvolse la ricca comunita' ebraica dell'isola. Non si imbarco' mai per la Palestina, accompagno' al porto i suoi fratelli, li saluto' e non li rivide mai piu'.
Rimase in Europa per amore di una giovanissima ebrea dagli occhi verdi che non capiva il suo yiddish e gli parlava in ladino, lingua degli ebrei di origine spagnola. Fu la lingua Sacra delle preghiere, l'ebraico, che li aiuto' a comprendersi e vissero insieme tutto il tempo che il destino concesse loro.
Ebbero cinque figli e lui, Chaimzill detto Ignazio, mori' a 50 anni a Vienna, la mattina del matrimonio del suo primogenito.
Consola, la moglie dagli occhi verdi, per il resto del tempo che gli sopravvisse porto' sulla sua tomba un uovo sodo, un sassolino e una tazza di the che rovesciava sul marmo.
I loro cinque figli entrarono nel silenzio dell'assimilazione, furono dei bravi "ebrei di corte" laureati , intellettuali, ricchi, con occhi colmi delle antiche memorie che volevano dimenticare forse per essere meglio accettati in un mondo ostile.
Non parlavano mai, con i loro amici goyim, di quel piccolo ebreo russo che aveva lasciato la sua citta' , il suo quartiere ebraico, il suo mondo per sfuggire all'odio e per ritornare alla Terra, quel Erez Israel che si sussurrava essere la salvezza, la dignita', la Pace, la Casa.
Quattro maschi e una femmina avevano avuto i genitori di mia nonna e solo lei salvo' il ricordo delle radici e del popolo antico cui apparteneva la famiglia. Lei sola ebbe la capacita' e di tramandare le tradizioni e l'orgoglio di sentirsi ebrea e sionista.
Mia nonna raccontava e raccontava, senza stancarsi, storie affascinanti e misteriose di gente sconosciuta e lontana. Raccontava della madre di suo padre che portava la parrucca perche' religiosa ortodossa. Raccontava che un giorno, dalla Russia lontana, erano venuti i genitori a trovare il figlio a Trieste ma non avevano resistito a lungo: lei, la Madre, mandava la servitu' a lavare piatti e pentole in mare perche' niente era "kosher" in quella citta' straniera , nemmeno l'acqua.
Raccontava, mia nonna, raccontava a me forse perche' sapeva che io, femmina tra due maschi, avrei raccolto il messaggio, avrei saputo ritrovare le radici nascoste per due generazioni sotto l'illusione dell'assimilazione necessaria per poter condurre una vita "normale".
Forse inconsapevolmente sperava che proprio io avrei chiuso quel cerchio aperto da suo padre: dalla Russia e Israele.
E io ho allevato mio figlio con l'orgoglio e la dignita' apprese da mia nonna e da mia mamma , gli ho parlato di Israele, delle nostre origini, delle nostre sofferenze, l'ho nutrito di amore e sionismo e un giorno mi ha detto "Mamma io parto".
Ed e' partito per la Terra dei padri.
E dopo piu' di un secolo e mezzo eccoci qua, noi, i discendenti di quel piccolo ebreo russo che non aveva mai conosciuto la Terra.
Qui sono io e qui e' mio figlio Aaron e qui e' nato Yonatan, figlio suo e di Tanya, il primo piccolo sabra della nostra famiglia. Qui e' arrivato anche uno dei miei due fratelli.
Il cerchio si e' chiuso e il padre di mia nonna mi guarda dal ritratto sul muro con i suoi occhi antichi e pazienti. Gli ebrei sanno aspettare, la sofferenza glielo ha insegnato.
Che sorrida ?
Lui voleva prendere una nave per arrivare in Palestina.
La nipote di sua figlia ha preso un aereo ed e' arrivata in Israele.