Riprendiamo dalla STAMPA/Tuttolibri di oggi, 08/06/2019,a pag.8, con il titolo "Caro Erdogan non riuscirai a chiuderci tutti nelle tue galere" l'intervsta di Francesco Olivo a Buran Sönmez
Buran Sönmez
Francesco Olivo
Torturare Burhan Sönmez non è stato un grande affare per i suoi repressori. Questo avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani oltre vent'anni fa fu costretto a ricoverarsi in un ospedale inglese per le botte subite dalla polizia turca: «Ero fermo a letto, guardavo la televisione, non potevo fare molto di più, così ho cominciato a scrivere, prima dei racconti, poi un romanzo». Nasce così la carriera letteraria di uno dei più importanti autori turchi all'estero, un attivista che ha avuto il coraggio di tornare nel suo Paese per denunciare uno Stato repressivo che lo ha preso di mira: «Ma è una cosa ordinaria, non mi è successo nulla di particolare». Di madre curda, Sönmez ha raccontato con grazia, ma senza sconti le azioni delle forze di sicurezza di Erdogan nel romanzo Istanbul Istanbul , dove quattro prigionieri politici raccontano dalle loro celle sottoterra la vita della città che gli sta sopra. Il successo internazionale è stato grande e Nottetempo è pronta a pubblicare anche un'altra opera di Sönmez, Labirinto, che ha come protagonista un giovane musicista benestante che si ritrova senza memoria dopo aver tentato, non si sa perché, il suicidio nel Bosforo. Siamo alla vigilia di un nuovo appuntamento politico importante: il 23 giugno si tornerà a votare per il sindaco di Istanbul. Il partito di Erdogan aveva perso le elezioni di marzo, ma dopo un ricorso la Commissione elettorale ha deciso di far tornare gli elettori alle urne: «Giochi sporchi, per lui è fondamentale tenere la capitale economica della Turchia».
Sönmez, lei viveva in esilio a Cambridge, perché ha deciso di tornare in Turchia?
«Stavo bene in Inghilterra, ma ho deciso di tornare perché non posso fare a meno di questo misto di dolore e bellezza che viviamo tutti i giorni in Turchia.Questo è il mio futuro».
Le sue denunce la espongono, si sente a rischio?
«Sono in pericolo, certo, ma la cosa non mi sconvolge. Non per eroismo, ma semplicemente perché condivido questa condizione con migliaia di altri turchi. Sono a rischio, ma non sono solo e Erdogan non ha carceri così grandi per rinchiuderci tutti».
Chi, come lei, si sente in pericolo prende delle accortezze particolari?
«Come si dice in turco, teniamo aperti quattro occhi, anche quelli dietro. Ma a volte non basta, come è successo a me nel 1996».
La paura è parte della sua vita?
«Sì, ma paradossalmente più aumenta la paura e più aumenta il coraggio. Se scrivi un tweet contro il governo rischi il carcere, eppure le persone continuano a farlo. In Turchia in questo secolo abbiamo sviluppato un'abitudine alla resistenza».
Leggendo il suo romanzo, Labirinto, viene quasi da pensare: tutto sommato meglio perdere la memoria.
«E la conclusione alla quale sono arrivato: perdere la memoria può essere un regalo del destino».
Una riflessione amara sui nostri giorni?
«Io volevo capire la mente delle nuove generazioni, se davvero si adattano alla cosiddetta vita moderna. Se ne parla tanto, ma cosa pensano davvero del presente? Il mio personaggio è un musicista che ha tutto nella vita, ma vuole uccidersi e non si ricorda perché. Ho seguito la sua personalità giorno dopo giorno. Poi ho capito che la sua curiosità per scoprire il passato andava di pari passo al timore di sapere la verità».
Qual è la verità?
«C'è molto dolore nel passato, ci possono essere cose orribili».
Vale anche per la politica?
«Sì, noi rifiutiamo il passato. Non ci interessa apprendere le lezioni della storia».
C'è un autore al quale si è ispirato?
«Istanbul Istanbul ha chiari riferimenti, anche espliciti, al Decamerone».
Quando ha letto Boccaccio?
«Curiosamente ho visto prima il film di Pasolini, solo dopo ho scoperto Boccaccio. Mi ha cambiato lo sguardo».
Lei sembra indagare sulle identità, ma non le pare che oggi si abusi di questo concetto?
«Questa è l'era delle piccole identità. C'è stata quella delle religioni e delle nazioni. Oggi ci sentiamo rappresentati dal nostro piccolo gruppo, di razza, di genere, di stile di vita. Non c'è nulla di male ovviamente, fino a che non si alzano delle barriere per escludere gli altri».
Sta succedendo?
«Oggi alcuni politici, in tutto il mondo, costringono le persone nei propri cortili». Lei che identità sente di avere?
«Quella curda, quella turca, quella britannica, dove ho trascorso l'esilio. Voglio godere di tutte le identità».
Ne esiste una turca?
«Sì, ma quella che ci viene proposta è un'identità ufficiale, protetta dalle leggi e dalla polizia. Se c'è la minaccia della galera per chi non la segue, vuol dire che non è qualcosa di spontaneo».
L'identità curda è viva?
«Quando io andavo a scuola si considerava la lingua curda come qualcosa di impuro, sporco ed era proibita. Si imponeva l'uso del turco».
Oggi è migliorata la situazione?
«Il divieto non c'è più, si possono dare nomi curdi ai figli. Però restano problemi, ci sono stati omicidi e aggressioni».
Colpa del governo?
«Il governo crede che la cultura curda sia una minaccia per lo Stato e questo influisce».
Erdogan controlla la società?
«Vorrebbe, ma non ci è riuscito. Il suo consenso non ha mai superato il 50%. Metà della popolazione non lo sopporta. E la forza della società che non si è piegata a 20 anni di potere assoluto».
Finirà questo che lei chiama "potere assoluto"?
«Finirà. Ho deciso di tornare per questo, perché credo nel futuro».
Qual è il vero disegno di Erdogan?
«Unire l'islamismo politico al nazionalismo. E soprattutto cambiare la società, sottrarla all'influenza degli intellettuali considerati nemici».
Come definirebbe Erdogan?
«È una persona strana. La sua caratteristica principale è il vittimismo. È così dall'inizio della sua carriera. Ha imprigionato centinaia di migliaia di persone e poi va in tv e fa la vittima. Credevo fosse una tattica per ottenere consensi, poi ho capito che fa parte della sua personalità».
L'occidente fa abbastanza per contrastarlo?
«I Paesi europei lo criticano nelle dichiarazioni ufficiali. Ma poi chiudono gli occhi per convenienza: la Turchia ospita milioni di rifugiati in cambio di soldi e di protezione politica. Un patto sporco, che rende tutti contenti».
Tre anni fa in Turchia c'è stato un tentativo di colpo di Stato.
«Il golpe fu organizzato da un suo storico alleato, Gulen, con il quale ha condiviso la fase della presa del potere. Poi i due hanno rotto. E da quel momento è iniziata una repressione brutale, anche contro chi non c'entra nulla con il movimento di Gulen, come i socialisti, i curdi, le femministe. D'altronde in tv Erdogan lo disse chiaramente: "Questo colpo di Stato è un regalo di Dio"».
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