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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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Avvenire Rassegna Stampa
08.06.2019 Sha'aria: impiccare, lapidare, crocifiggere, fra i tanti, il caso dell'Arabia Saudita
Cronaca di Federica Zoja

Testata: Avvenire
Data: 08 giugno 2019
Pagina: 14
Autore: Federica Zoja
Titolo: «Choc a Riad: Il prigioniero politico più giovane del Regno rischia il patibolo»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 08/06/2019, a pag.14 con il titolo "Choc a Riad: Il prigioniero politico più giovane del Regno rischia il patibolo" la cronaca di Federica Zoja

 Non ha senso stupirsi di ciò che sta avvenendo in Arabia Saudita. Come tutti i paesi musulmani che applicano integralmente la Shar'ia, la pene sono quelle che leggiamo raccontate nella cronaca di Federica Zoja

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Federica Zoja

Nell'Arabia Saudita del "riformista" Mohammed bin Salman anche chi ha commesso un reato quando era minorenne rischia la pena di morte. L'ultima vittima di un sistema che non guarda in faccia nessuno pur di conservare il potere ha da poco 18 anni, si chiama Murtaja Qureiris e, all'età di 10 anni, è stato coinvolto dai familiari nell'attivismo politico. All'inizio, il bimbo è sceso in strada insieme ad altri bambini- in bicicletta e con un megafono in mano- per «chiedere diritti umani», come mostra un video della Cnn, che sta seguendo il caso denunciandone tutta l'aberrazione.
Poi, ha partecipato a un raduno di motociclette davanti a una stazione di polizia ad Awamiya, nell'Arabia Saudita orientale. In quell'occasione, secondo l'accusa il fratello maggiore Ali, Qureiris avrebbe lanciato molotov contro il commissariato e partecipato alla produzione di esplosivi. Il bambino avrebbe pure sparato alle forze di sicurezza.
E protestato violentemente ai funerali di Ali, ucciso negli scontri con gli agenti a fine 2011. Lo sfondo è quello della Primavera saudita, una stagione di speranza sociale brevissima. Qureiris sarebbe stato "in prima linea" fra i 10 anni, appunto, e i 13, quando venne arrestato mentre si stava recando insieme alla sua famiglia in Bahrein. Da allora non è più uscito di prigione, guadagnandosi il triste primato di più giovane prigioniero politico del regno. Senza che nome e cognome del ragazzo fossero citati, del suo caso si parlò alla 77esima sessione di lavoro del gruppo delle Nazioni Unite per le detenzioni arbitrarie, nel 2016.
Ora, la campagna internazionale lanciata dalla Cnn punta sulle testimonianze di altri attivisti scappati all'estero, in grado di provare il carattere pacifico delle manifestazioni. E sul fatto che almeno uno dei crimini di cui è accusato Qureiris sarebbe stato compiuto quando aveva appena 10 anni. Nel 2006, Riad ha comunicato al Comitato per i diritti dei bambini di avere innalzato l'età della responsabilità penale a 12 anni, secondo quanto riferito anche da Human rights watch.
Le autorità saudite, in precedenza, avevano notificato alle Nazioni Unite di non prevedere la pena capitale per reati commessi prima di quell'età. Ma il ragazzo sarebbe membro di un gruppo estremista terroristico, è l'accusa, e, cosa ancor peggiore per la legge islamica (Sharia), avrebbe cercato di «seminare la sedizione». La sua pena capitale potrebbe includere la crocifissione o lo smembramento del cadavere dopo l'esecuzione. II ragazzo ha sempre negato le accuse e denunciato confessioni estorte con la tortura.
Rischiano la medesima sorte anche un altro dei suoi fratelli e il padre, arrestato l'anno scorso. Dall'inizio del 2019, i detenuti messia morte per reati commessi prima di aver compiuto i 18 anni sono stati almeno tre: la tv americana cita i casi di Abdulkareem al-Hawaj, Mujtaba al-Sweikat e Salman Qureish. L'impianto accusatorio è il medesimo: atti violenti nel corso di proteste durante la Primavera araba.
In Arabia Saudita, la pena di morte può essere eseguita solo con il via libera di re Salman o di un suo rappresentante autorizzato, sempre più spesso il principe ereditario Mohammed bin Salman. La repressione - spietata- contro il dissenso in ogni sua forma non ha subito modifica alcuna dopo la crisi d'immagine seguita all'assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi a Istanbul. Una vicenda da film horror, in cui, secondo gli inquirenti turchi, Mohammed bin Salman avrebbe avuto il ruolo di regista. Eppure la considerazione riservata dalle maggiori potenze mondiali al casato sunnita è ai massimi storici.
 Washington e Pechino fanno letteralmente a gara per "l'amicizia" dei Saud: mentre Vladimir Putin si accinge a una visita nella penisola Arabica, puntando a stringere accordi onnicomprensivi sul piano energetico, Trump sblocca la fornitura di tecnologie nucleari civili a Riad (come anticipato da Avvenire il 3 aprile) e Xi Jinping aiuta i sauditi a rafforzare il programma balistico. II quadro che ne è emerge e da incubo: con tecnologie statunitensi ed expertise russa, la generazione reale più ambiziosa e spregiudicata che i Saud abbiano mai avuto si sta armando fino ai denti. Per lottare contro il terrore, affermano loro.

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