Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/06/2019, a pag.13 con il titolo "I Paesi islamici uniti contro il piano di pace americano" la cronaca di Giordano Stabile
Netanyahu, leader coraggioso
Il Piano Usa rinviato a dopo il 17 settembre
Doppia lettura della cronaca di Stabile: se è vero che tutti gli stati islamici presenti hanno riconosciuto nell'Iran il nemico comune, la stessa unità non c'è stata nei confronti del Piano americano di pace. Stabile avrebbe dovuto ricordare la coalizione sunnita voluta da Trump e ufficialmente creata a Riad tre anni fa, che con Israele da tempo ormai intrattiene rapporti interessanti, certamente non ufficiali, vista la comune fede nell'islam dei paesi che continuano a comportarsi pubblicamente contro Israele.
La titolazione è perciò errata, come lo era giorni fa quella su Netanyahu, che definiva 'smacco' il ritorno alle urne a settembre. E' vero il contrario, Bibi avrebbe potuto, come avviene anche in Italia, cercare un compromesso fra gli ultra religiosi e Avigdor Lieberman, promettendo qualcosa a entrambi. Invece no, ha scelto, da politico coraggioso e non da giocatore di poker, la sfida del 17 settembre, dove potrebbe anche essere sconfitto. Seguiremo in questi mesi la campagna elettorale con occhio attento e.soprattutto, con la mente libera da pregiudizi.
Giordano Stabile
I Paesi islamici si compattano in difesa di Gerusalemme e pongono una seria ipoteca sul piano di pace americano. Dal triplice vertice della Mecca, dove si sono riuniti il Consiglio di cooperazione del Golfo, la Lega araba e l'Organizzazione per la cooperazione islamica, è arrivato un doppio segnale a Washington. Riad ha ottenuto un fronte arabo più compatto contro l'Iran, che ha visto anche il riallineamento del Qatar. La stretta di mano fra Re Salman e il premier qatarino Abdullah bin Nasser al-Thani ha segnato il punto di svolta positiva in una crisi cominciata due anni fa. Come ha sottolineato lo stesso sovrano saudita tutte e tre gli organismi si sono mobilitati per «contrastare minacce e azioni sovversive» da parte dell'Iran, in particolare per quanto riguarda i traffici petroliferi. II fronte per fermare l'Iran L'amministrazione Trump potrà quindi contare su un blocco coerente nel contenimento della Repubblica islamica ma questo non vale per «l'accordo del secolo» che doveva mettere fine al conflitto israelo-palestinese. Le 56 nazioni a maggioranza musulmana hanno infatti bocciato il punto più controverso della proposta formulata da Jared Kushner, cioè la cessione della sovranità su Gerusalemme a Israele. Il comunicato finale invita i Paesi islamici a «prendere misure adeguate» contro le capitali che hanno deciso di spostare la loro ambasciata nella Città Santa. L'Oic rappresenta un miliardo e mezzo di musulmani ma ha scarsi poteri. Il segnale è però importante perché è stato sottolineato da dichiarazioni di Re Salman dello stesso tenore. La «linea rossa» a suo tempo tracciata dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan resta tale nonostante il pressing americano. A complicare le cose a Kushner sono arrivate anche le elezioni anticipate in Israele. Fonti israeliane e palestinesi hanno fatto trapelare che la presentazione del piano è destinata a un nuovo rinvio, dopo il voto del 17 settembre. Mentre le adesioni alla conferenza economica in Bahrein, che dovrebbe lanciare a fine mese la parte finanziaria del progetto, si contano finora sulle dita di una mano. Gli ostacoli maggiori restano la status di Gerusalemme e la questione dei rifugiati palestinesi. Su questo fronte è adesso il Libano al centro delle trattative. L'ex ambasciatore americano David Satterfield è a Beirut, ufficialmente per una mediazione nella disputa sui confini marittimi fra il Paese dei Cedri e Israele. Ma sul piatto c'è una offerta vantaggiosa per il Libano in cambio della concessione della cittadinanza ai circa 350 mila palestinesi. Offerte simili sono state fatte alla Giordania e all'Egitto. Con la naturalizzazione del palestinesi si risolverebbe il problema del ritorno dei profughi, che Israele non vuole.
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