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La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
28.05.2019 Antisemitismo in Germania, con il quotidiano Bild una kippah in omaggio: 'Indossatela tutti in segno di solidarietà'
Giulio Meotti, Mauro Zanon

Testata:La Repubblica - Il Foglio
Autore: Giulio Meotti - Mauro Zanon
Titolo: «Tabloid tedesco regala la kippah di carta da tagliare e indossare - La kippah o il futuro d'Europa - Negazionisti a Sciences Po. La Francia alle prese coi dérapage neonazi degli studenti»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/05/2019, a pag.35 la breve "Tabloid tedesco regala la kippah di carta da tagliare e indossare"; dal FOGLIO, a pag. IV, con il titolo "La kippah o il futuro d'Europa", il commento di Giulio Meotti; con il titolo "Negazionisti a Sciences Po. La Francia alle prese coi dérapage neonazi degli studenti", il commento di Mauro Zanon.

Complimenti a Bild, il quotidiano più diffuso in Germaia, che ha regalato con il giornale una kippah azzurra di carta, invitando i lettori a indossarla per protestare contro l'antisemitismo diffuso a macchia d'olio in Germania. Un'iniziativa che più volte IC ha incoraggiato.

Ecco gli articoli:

LA REPUBBLICA: "Tabloid tedesco regala la kippah di carta da tagliare e indossare"

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Non si placa il polverone alzatosi a seguito della dichiarazione del responsabile governativo per la lotta all’antisemitismo tedesco, Felix Klein, riguardo all’indicazione di non indossare la kippah in pubblico per motivi di sicurezza. Dopo la reazione irritata del presidente israeliano Reuven Rivlin, che aveva definito la mossa come una «capitolazione di fronte all’antisemitismo », è arrivata anche la risposta del governo tedesco, tramite il portavoce Steffen Seibert: «Lo Stato ha il dovere di garantire la libertà di religione e ha la responsabilità di garantire a tutti di portare la kippah». Un’iniziativa in favore dell’amicizia con gli ebrei è apparsa anche sulla Bild: ieri il popolare quotidiano tedesco ha proposto ai suoi lettori una kippah azzurra di carta da ritagliare e indossare in segno di solidarietà.

IL FOGLIO - Giulio Meotti: "La kippah o il futuro d'Europa"

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Giulio Meotti

Alcuni anni fa Benny Zipper, responsabile delle pagine culturali di Haaretz, il foglio dell’intellighenzia israeliana di sinistra, fece una proposta: “Per salvare il popolo ebraico bisogna pensare a un piano di trasferimento di ebrei laici a Berlino, affinché vi costituiscano un polo alternativo a Israele”. A tenere banco era la storia del famoso budino “Milky”, che in Germania costava un terzo che nello stato ebraico. Oggi del budino non si sente più parlare. Si parla invece molto della kippah e di come portarla a Berlino metta a rischio la vita degli ebrei. E’ la prima volta che l’esponente di un governo europeo invita ufficialmente la comunità ebraica a “scomparire” e a rinunciare per sicurezza ai simboli della propria fede. Per questo hanno generato scalpore e polemiche furiose le dichiarazioni di Felix Klein, l’inca - ricato del governo tedesco per la lotta all’antisemitismo, che ha consigliato agli ebrei “di non portare la kippah in pubblico”, a causa dell’ondata di ostilità nei loro confronti. Di “resa dello stato” scrive Michael Friedman, già vice-presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania. Il presidente israeliano Reuven Rivlin ha definito la dichiarazione di Klein “una resa all’antisemitismo”. In realtà, un anno fa, fu proprio Josef Schuster, presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi, a rivolgere un invito simile: “Sconsiglia - mo di mostrarsi in pubblico con la kippah”. Ieri il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, ha detto che il governo si impegnerà a garantire la sicurezza degli ebrei. La Germania, teatro della “soluzione finale del popolo ebraico”, fa i conti con una ondata di antisemitismo fra un passato ingombrante che non passa e un presente che non promette niente di buono. Ieri la Bild, il primo quotidiano tedesco, ha regalato la kippah ai suoi lettori (come fece il Foglio quattro anni fa, quando un simile invito a nascondere i simboli ebraici venne dal capo della comunità ebraica di Marsiglia, Zvi Ammar). Una kippah da ritagliare e indossare e che occupa un quarto della prima pagina della Bild. Il redattore capo Julian Reichelt ha scritto: “Se solo una persona nel nostro paese non può portare la kippah senza mettersi in pericolo, la risposta può essere solo che tutti noi dobbiamo indossare una kippah”. Il sito della Bild ha anche un video su come tagliare la kippah. Anche da parte ebraica arrivano voci di rifiuto della paura. Il rabbino di Berlino Yehuda Teichtal ha invitato gli ebrei a portare la kippah. Un anno fa, la Germania fu scossa da una serie ravvicinata di attacchi agli ebrei, ben sintetizzata sulla Faz da Michael Hanfeld: “Nel fine settimana a Berlino, un ebreo è stato picchiato da un gruppo di persone perché indossava una collana con la stella di David. La polizia ha arrestato sette uomini e tre donne, siriani. La vittima ha subìto una lacerazione alla testa. L’atto non ha smosso molti sentimenti. Dopo l’attacco lanciato da due giovani, a Prenzlauer Berg, su un diciannovenne a metà aprile, duemilacinquecento persone si sono ritrovate per la marcia di solidarietà ‘Berlino indossa la kippah’ (si presentarono poche persone, ndr). Quasi tre mesi dopo, manca un tale gesto. E anche la risposta dei media all’attacco è bassa. Ciò dimostra quanto sia superficiale la presunta sensibilità all’antisemitismo. L’antisemitismo sta diventando un fenomeno quotidiano”. Ne parliamo con Elvira Groezinger, figlia di sopravvissuti alla Shoah, studiosa di letteratura, liberale, esponente della comunità ebraica della capitale tedesca e già presidente della sezione tedesca degli Scholars for Peace in the Middle East. “C’è qualcosa di marcio in Germania... Il clima sociale in questo paese è diventato pesante negli ultimi anni verso gli ebrei. La Germania ha sempre avuto antisemiti, ma i loro attacchi erano in generale verbali, raramen - te violenti. La violenza era rivolta alle lapidi ebraiche e ai luoghi di commemorazione. Ora la violenza fisica nei confronti degli ebrei è cresciuta considerevolmente e gli autori sono musulmani, un fatto che è stato nascosto al pubblico per troppo tempo. Abbiamo ‘aree no-go’ per gli ebrei nelle grandi città con una grande popolazione musulmana, specialmente a Berlino, abbiamo clan arabi che dominano la scena criminale e sono stati lasciati incontrastati per troppo tempo, come a Schönenberg e Kreuzberg. I nazisti sono a est, come a Cottbus, dove è stato attaccato un ristorante ebraico. Il rabbino Alter è stato ferito per strada in una zona borghese da giovani musulmani, fu un campanello d’allarme. L’ultima affermazione di Klein, che non consiglierebbe agli ebrei di indossare la kippah in certe zone per la propria sicurezza, ha suscitato un dibattito in Germania e all’estero. “Personalità ebraiche e non di spicco criticano questa affermazione come un segno di capitolazione dello stato di fronte all’antisemitismo, alcuni vedono già gli ebrei come lasciati soli al loro destino e pensano di lasciare il paese. Il capo degli ebrei in Germania, Joseph Schuster, ha dato lo stesso consiglio e Klein lo ha ripetuto, come mi ha spiegato, per suscitare un dibattito pubblico sull’ar - gomento. Il dibattito ora è lì, ma non come sperava. Gli ebrei devono avere il diritto di indossare la kippah, una società democratica deve permetterlo. Il tempo dell’acquiescenza è finito”. Non è la prima volta che la situazione si aggrava. “Nel 2014, con la guerra a Gaza, si è verificato un peggioramento del clima sociale in Europa, inclusa la Germania” continua al Foglio Elvira Groezinger. “In alcuni luoghi, come a Essen e in altre città della Renania settentrionale-Vestfalia, i raduni pro palestinesi si sono svolti con slogan come ‘Hamas, Hamas, ebrei nel gas!’, mentre la manifestazione era stata organizzata dall’estrema sinistra. Questo fu allarmante, ma nessuna protesta da parte del governo, delle chiese, della società civile, è arrivata, bensì solo da alcuni singoli giornalisti, come Alexander Kissler di Cicero, che ha usato parole chiare, parlando di ‘ritorno dei barbari’. Solo l’allora presidente del Consiglio generale degli ebrei in Germania, Dieter Graumann, figlio di sopravvissuti all’Olocausto, reagì invocando una manifestazione contro l’antisemitismo alla Porta di Brandeburgo. Erano presenti cinquemila persone, appartenenti a organizzazioni filo-israeliane, membri della comunità ebraica e politici come Merkel, il presidente Christian Wulff, il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier e altri ministri. Merkel ha detto che gli ebrei in Germania devono sentirsi al sicuro e questo è il massimo della politica interna tedesca. Bene, il contrario è quello che succede e Merkel non si intromette più nel dibattito. L’aver portato in Germania un milione di persone dal medio oriente ha spinto l’ascesa dei partiti antimusulmani di destra e degli antisemiti dormienti fino al 2015”. Gli ebrei hanno un futuro in Germania? “Solo se i governi li proteggono come tutti gli altri cittadini, punendo i responsabili, insegnando ai musulmani i valori occidentali e cacciando gli imam che istigano all’odio. Solo allora la società tedesca nel suo insieme sarà guarita dall’attuale elemento conflittuale e aggressivo che ne mina la democrazia. Questo è il compito del governo, non di consigliare agli ebrei di nascondere la propria identità”. Nella scomparsa della kippah dalla testa degli ebrei, l’Europa rischia di perdere anche la propria.

IL FOGLIO - Mauro Zanon: "Negazionisti a Sciences Po. La Francia alle prese coi dérapage neonazi degli studenti"

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Mauro Zanon

Parigi. “E uno, e due, e Terzo Reich! E quattro, e cinque, e sei milioni! E sette, e otto, e dimostratelo!”. I professori di Sciences Po Strasburgo, ancora non si capacitano di quanto è accaduto a fine marzo al Crité- rium, la prestigiosa competizione sportiva che ogni anno riunisce i dieci istituti politici di Francia (Iep) per un weekend di gare in diverse discipline. Un gruppo di studenti della sezione strasburghese di Sciences Po, secondo quanto riportato sul gruppo Facebook “Paye ton Iep”, avrebbe intonato dei canti negazionisti nel corso del weekend sportivo. E, non pago, anche dei ritornelli razzisti. “Amo il Ruanda perché ci sono i bambini soldato”, avrebbero cantato. La notizia, proprio perché le dieci antenne di Sciences Po puntano tutto sulla loro reputazione di fornaci delle élite, sta provocando un gran baccano nel mondo accademico. Anche perché le derive negazioniste e razziste sarebbero “ricorrenti”, secondo le testimonianze di alcuni studenti. Nel 2016, due allievi dell’Iep di Grenoble erano già stati puniti per aver esposto uno striscione con scritto “Dachau must go on”. “Prima di arrivare, pensavo veramente che sarei atterrato tra i fascisti”, ha raccontato all’Opinion un allievo del primo anno. Per contenere il fenomeno, l’Iep di Grenoble ha moltiplicato le regole: i video, le foto e i cartelli che si vogliono mostrare durante Critérium devono essere convalidati dall’amministrazione, e gli studenti devono firmare una carta di buona condotta. Céline Braconnier, direttrice di Sciences Po Saint-Germain-enLaye, ha manifestato la necessità di un “piano di prevenzione” contro questi “dérapages”. Più duro ancora Rostane Mehdi, direttore di Sciences Po Aix: “Abbiamo a che fare con dei comportamenti gregari che testimoniano una forma di imbarbarimento legata anche a preoccupanti problemi di dipendenza, in particolare all’alcol”, ha reagito domenica Rostane Mehdi, sollecitato dall’Opinion via mail. L’Iep di Lione e di Tolosa non hanno risposto al quotidiano parigino, e neppure la direzione di Strasburgo. Ma quest’ultima, attraverso una lettera pubblicata ad aprile, ha quantomeno giudicato “inammissibili” le dichiarazioni “razziste” e i “canti pro nazisti” pronunciati dagli allievi, annunciando sanzioni disciplinari a venire. Ad oggi, la stampa parigina non dà notizia di alcuna sanzione nei confronti degli studenti che si dilettavano a negare l’Olocausto con ritornelli ributtanti, e il clima a Sciences Po, secondo le parole di alcuni allievi, è diventato “deleterio”. Nelle ultime settimane, la superscuola delle élite è stata più volte al centro della tormenta. Sul muro dell’antenna di Rennes, ad aprile, è spuntata la scritta violenta “un poliziotto, una pallottola”, con un chiaro invito ad attaccare le forze dell’ordine impegnate con i gilet gialli. Sempre ad aprile, il filosofo Alain Finkielkraut ha tenuto una conferenza a Sciences Po Parigi protetto dalle forze dell’ordine e da alcuni uomini della Dgsi, i servizi segreti interni, perché il collettivo di antifà voleva linciarlo.

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