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Informazione Corretta Rassegna Stampa
24.05.2019 Bernard Malamud, tra i più grandi della letteratura ebraico-americana
Analisi di Giuliana Iurlano

Testata: Informazione Corretta
Data: 24 maggio 2019
Pagina: 1
Autore: Giuliana Iurlano
Titolo: «Bernard Malamud, 'L'uomo di Kiev' e il caso Beilis»

Bernard Malamud, 'L'uomo di Kiev' e il caso Beilis
Analisi di Giuliana Iurlano

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Bernard Malamud

Nel 1966 Bernard Malamud pubblicava The Fixer (titolo tradotto in italiano con L’uomo di Kiev), romanzo che gli avrebbe fatto vincere il premio Pulitzer e il National Book Award. Ambientato nella Russia zarista dei primi anni del Novecento, il racconto è una storia realmente accaduta, quella di Menahem Mendel Beilis, un ebreo ucraino accusato di omicidio rituale nella Kiev del 1911. Così Malamud ricostruiva la genesi del suo romanzo: “Ero alla ricerca di una storia che fosse accaduta in passato e che forse sarebbe potuta accadere di nuovo. Volevo la connessione storica che mi permettesse di [...] mostrare quanto alcune delle nostre sfortunate esperienze storiche siano ricorrenti [...]”. Effettivamente, il “caso Beilis” suscitò enorme scalpore, soprattutto negli Stati Uniti, dove la notizia giunse attraverso un report del console americano ad Odessa il 13 novembre del 1911. Beilis fu accusato di aver ucciso un bambino cristiano, Andrej Youchinskij, per scopi rituali. L’antica accusa del sangue era stata importata nella Russia zarista dalle contigue terre cattoliche ed alimentata al tempo in cui la popolazione ebraica era costretta a vivere nella Zona di Residenza. Quattro anni dopo l’affare di Damasco del 1840, Nicola I aveva ordinato un’indagine ad hoc, conclusasi con un documento ufficiale dal titolo “Indagine sull’uccisione di fanciulli cristiani e sull’uso del loro sangue da parte degli ebrei”, che ammetteva il fondamento dell’accusa, limitandolo però ai chassidim. Da allora e grazie anche ad Alessandro III, convinto della veridicità dell’accusa, nella Russia zarista – fino a quel momento quasi esente dal fenomeno – cominciarono a moltiplicarsi i casi di omicidio rituale, culminati con il caso Beilis.

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La copertine (Einaudi ed.)   (Minimum Fax ed.)

Per due anni, dal 1911 al 1913, vi fu un rigurgito di antisemitismo esasperato in tutte le classi sociali, nelle piazze, sulla stampa e nella Duma, rafforzato dall’azione delle Centurie Nere, che aizzavano le folle contro gli ebrei. Il processo a Mendel Beilis – conclusosi con l’assoluzione – suscitò un’intensa indignazione soprattutto negli Stati Uniti, fortemente impegnati in quegli anni a risolvere la “questione ebraica” attraverso una decisa pressione diplomatica nei confronti dell’Impero zarista. Sia al Senato, con il senatore J. Hamilton Lewis, sia alla Camera dei Rappresentanti, con Adolph J. Sabath dell’Illinois, furono approvate delle risoluzioni in cui si protestava contro il processo intentato a Beilis e si chiedeva al governo degli Stati Uniti di fare tutto il possibile per “mettere fine all’ingiusta accusa di omicidio rituale contro il popolo ebraico e, in particolare, contro Mendel Beilis”. Intanto, nel gennaio del 1912, il processo prese due strade: da un lato, l’accusa cercò di dimostrare che effettivamente era stato compiuto un omicidio rituale; dall’altro, che Beilis ne fosse stato l’artefice. Tra il 25 settembre e il 28 ottobre 1913 si svolse il processo: nonostante le prove contrastanti e le testimonianze poco attendibili, i giurati – con una maggioranza di sette a cinque – ammisero che si fosse trattato di omicidio rituale, ma ritennero Beilis non colpevole.

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Menahem Mendel Beilis

Nonostante l’assoluzione, la vita e il lavoro di Beilis ne risultarono compromessi: la sua salute vacillò, perse il lavoro e ricevette continue minacce di morte da parte delle Centurie Nere. Alla fine, decise di lasciare la sua amata Kiev per andare in Palestina, dove sperava di creare un’azienda agricola. Al momento della partenza, gli furono fatte molte promesse di aiuto, che però non vennero rispettate, tanto che fu costretto ad andare negli Stati Uniti, nella speranza di raccogliere fondi per il suo progetto. Mentre era lì, seppe della tragica morte del figlio più grande, Pinchas, che era stato imprigionato con il padre per due giorni, quando aveva solo 9 anni. Quel trauma, insieme all’accusa infamante rivolta al genitore, lo avevano traumatizzato a tal punto da portarlo al suicidio. Beilis fu raggiunto in America dalla sua famiglia e, nonostante il suo sogno di tornare in Palestina, rimase a New York fino alla sua morte, avvenuta nel 1934.


Giuliana Iurlano è Professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento. Collabora a Informazione Corretta


takinut3@gmail.com

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