C’è un’Europa che guarda a Israele
Recensione di Dario Peirone del volume 'Sovranità, Democrazia e Libertà'
Giuseppe Valditara
È uscito da pochi giorni un libro, di grande interesse per chiunque voglia capire qualcosa di più sul malessere dell’Europa di questi anni, sulla Brexit, sul sovranismo e sul possibile futuro di questa nostra parte di mondo. Si intitola “Sovranità, democrazia e libertà” (Aracne editrice) e raccoglie molti dei contributi dei relatori all’omonimo convegno, organizzato a Milano da Giuseppe Valditara, docente di Diritto Romano all’Università di Torino e capo Dipartimento del MIUR per la ricerca scientifica. Importanti giuristi ed economisti, docenti ad Oxford, a Londra, a Vienna e a Washington, il più importante arabista di Israele, una delle più famose giornaliste svedesi. Questi gli autori dei contributi, provenienti da diversi paesi europei, da Israele e dagli Stati Uniti. Tra di loro nessun estremista o nostalgico di ideologie nefaste. Al contrario, la compagine di autori di questo libro rappresenta quel pensiero liberal-conservatore, totalmente ignorato dal dibattito mediatico, che ha saputo cogliere prima degli altri i gravi errori che la leadership europea stava commettendo dagli inizi del nuovo millennio. Mentre ci viene fatto credere che i cosiddetti “sovranisti” siano in antitesi all’originario progetto europeo del Trattato di Roma o intrinsecamente affascinati dai regimi non democratici, in questo libro si trova chiaramente delineata la delusione nei confronti dell’attuale governo dell’Europa, proprio perché esso stesso si è allontanato sempre più da quelli che erano gli originari scopi ed ideali del progetto comunitario. Come scrive lo storico americano Paul Coyer, il progetto di integrazione europea inizialmente immaginato è stato superato, dagli anni ’90 in poi, da un'agenda ideologica in contrasto con il progetto dei fondatori, la cui visione era radicata nelle radici culturali giudaico-cristiane e classiche dell'Europa, e che aveva dato volentieri spazio a identità nazionali e regionali distintive.
Mordechai Kedar
L’odierna classe dirigente europea ha basi e radici culturali molto diverse da quelle dei fondatori e, cosa ancor più preoccupante, un’aggressività ideologica e un’autoreferenzialità volte a limitare la possibilità di critica o il dibattito democratico. Basti pensare, come ricorda Guglielmo Verdirame, importante avvocato londinese e professore al King’s College, a quanto accadde nel 1999 all’ex funzionario della Commissione Europea Bernard Connolly, che in un programma della BBC predisse i problemi che il sistema finanziario disegnato a Maastricht avrebbe creato: “La Banca centrale europea che si sta immaginando si trasformerà in una partita di calcio tra tifoserie avverse. La disoccupazione sarà più alta. Le tasse saranno più alte. La spesa pubblica sarà più bassa. Le pensioni saranno tagliate. Gli elettori sentiranno di non avere alcun controllo sulle decisioni e questa combinazione poterà al disagio economico e alla disillusione verso la politica, con il rischio di rianimare tutto ciò che i sostenitori dell'Unione Europea dicono di voler evitare: la xenofobia, il nazionalismo, un ritirarsi dai mercati liberi”. Connolly venne licenziato in tronco dalla Commissione Europea, e la sua richiesta di risarcimento è stata bocciata dalla Corte di Giustizia. Una parte molto interessante del libro riguarda proprio il diritto ed il ruolo della magistratura nell’amministrazione della giustizia.
Colpisce che due giuristi così diversi come Nicolò Zanon (giudice della Corte Costituzionale) e Richard Ekins (docente di diritto ad Oxford) denuncino con parole gravi lo stesso problema. Zanon rileva infatti “la diffusione di una sorta di paternalismo giurisdizionale, nutrito di profonda diffidenza verso la legge, perché nutrito di profonda diffidenza verso il legislatore, che per definizione sarebbe in balìa di maggioranze irrazionalmente mutevoli ed emotive, e risulterebbe naturalmente privo, rispetto alle materie da regolare, della indispensabile consapevolezza tecnica, posseduta invece dai veri professionisti del diritto”. Nel Regno Unito e in alcuni altri paesi di common law, denuncia Ekins, questa idea minaccia lo stato di diritto, privilegiando la sottomissione dei governi eletti al controllo del potere giudiziario, che disattende l’applicazione dalla legge positiva creando, attraverso le sentenze, una propria legislazione parallela. Un esempio di questa discrezionalità creativa del potere giudiziario si trova nell’estensione del concetto di “diritti umani”, che trasforma in slogan militanti parole come accoglienza, coesistenza, integrazione, trascurando di fatto l’intrinseca problematicità teorica e pratica di tali concetti. Come ricorda l’economista Francesco Manfredi “la posizione «accogliere i migranti è un bene perché ci pagheranno le pensioni» riconduce il valore dell’integrazione degli ospitati a un mero interesse economico degli ospitanti; il presunto valore della flessibilità nei rapporti di lavoro, che prefigura null’altro che una condizione di semi–disoccupazione e di precarietà permanente dei lavoratori, è in realtà contrario al valore della loro dignità. Due disvalori, quindi, che fanno fare al dibattito in questi campi un salto indietro di almeno due secoli”. L’ipocrisia e le ambiguità sulla questione dell’immigrazione sono oggetto di altri due importanti contributi, quello del professor Mordechai Kedar dell’Università di Bar Ilan (ben noto ai lettori di IC) e della giornalista svedese Paulina Neuding. Il primo presenta un’analisi chiara del pensiero islamico sull’immigrazione intesa come colonizzazione e sulla sharia come “redenzione” per gli infedeli. I pericoli insiti in questa visione radicale sono stati sistematicamente sottovalutati dalla leadership europea che, identificando gli immigrati sempre e comunque come “vittime” a cui vanno garantiti diritti, ha di fatto consentito delle zone franche di impunità.
La Neuding, in una coinvolgente descrizione delle violenze avvenute nel Capodanno 2015 a Colonia attraverso le testimonianze delle vittime (più di 600 donne denunciarono attacchi da parte di giovani immigrati nordafricani), spiega come queste donne siano sì vittime, ma di “serie B” rispetto agli immigrati che hanno commesso i reati, per i quali praticamente nessuno è stato punito e che sono stati silenziati da stampa e governo. Quella notte, scrive Neuding, divenne evidente che le libertà che le donne europee davano per acquisite - come la libertà di celebrare la vigilia di Capodanno sulla piazza della città – avevano bisogno di essere protette e difese dallo stato. Alla fine questo atteggiamento, ricorda Kedar, danneggia i diritti di tutti i cittadini e rende difficile il processo di integrazione da parte di quegli immigrati che realmente vorrebbero trovare una nuova vita migliore in un paese europeo. Verdirame scrive che “la storia non ci dà una lezione più chiara di quella di fare attenzione all’arroganza delle élites europee quando diventano ubriache di una visione”. Leggendo la recente intervista di Angela Merkel pubblicata in Italia dal quotidiano La Stampa, questa frase appare in tutta la sua importanza. Questo libro è fondamentale per comprendere che il ristabilimento del primato della rappresentanza popolare è l’unico (e difficile) percorso in grado di superare l’attuale squilibrio tra poteri non rappresentativi e potere politico, con l’obiettivo urgente di far ritrovare ai popoli europei la fiducia negli organi democratici. Questo testo mostra come identificare sovranismo con il nazionalismo dei primi del ‘900 non corrisponda affatto alla realtà. Come ricordato dallo storico Marco Paolino nel suo contributo, diverse voci di opposizione all'ascesa al potere di Hitler nacquero da intellettuali tedeschi in cui più forte era il legame con la tradizione, la cultura e l'identità, combattendo da posizioni che potremmo definire conservatrici, che vennero disprezzate e soffocate dalla violenza nazista. Proprio il sionismo e Israele rappresentano esempi vincenti della coniugazione tra la difesa della propria identità e l’esercizio della democrazia e della libertà, al quale tutti i relatori presenti al convegno guardavano con grande interesse. Questo libro rappresenta una importante riflessione sul futuro dell’Europa, per affrontare i problemi ancora irrisolti anziché negarli. Un invito alla discussione ed al libero pensiero al di fuori della gabbia del politicamente corretto, di grande utilità alla vigilia di un appuntamento elettorale fondamentale per gli assetti politici del nostro continente.
Dario Peirone, Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese - Dipartimento di Economia e Statistica, Università di Torino, tra gli autori del libro