Giorgio Levi Della Vida, l'orientalista antifascista che studiò islam e Califfato Recensione di Giulio Busi
Testata: Il Sole 24 Ore Data: 12 maggio 2019 Pagina: 30 Autore: Giulio Busi Titolo: «Levi Della Vida, l'orientalismo rivoluzionario»
Riprendiamo dal SOLE24ORE/Domenica di oggi, 12/05/2019, a pag.30 con il titolo "Levi Della Vida, l'orientalismo rivoluzionario" la recensione di Giulio Busi.
Giuio Busi
Il primo articolo è del 1922. L'ultimo, del 1964. Se quarantadue anni vi sembrano pochi, pensate a tutto quello che è successo. L'ascesa e la caduta del fascismo, le leggi razziali, la seconda guerra mondiale e la Shoah, la crisi del colonialismo, la guerra fredda. Giorgio Levi Della Vida, nato a Venezia nel 1886, in una famiglia di origine ebraica, e scomparso nel 1967, molti di questi avvenimenti li visse in prima persona. Nel 1931, fu uno dei pochissimi professori universitari italiani a rifiutare il giuramento al regime fascista, una scelta che gli costò la cattedra alla Sapienza di Roma. Nel 1939 lasciò l'Italia per gli Stati Uniti. Fece ritorno solo nel 1948. Un uomo capace di fare scelte scomode, e di pagarne il prezzo. E uno studioso in grado di unire la cura minuziosa del filologo all'impegno e alla penna del divulgatore. Merce rara, questa della divulgazione, nel panorama della nostra accademia, allora come ora. E ancora più difficile da trovare nel campo di cui Levi Della Vida fu inarrivabile protagonista, quello degli studi orientalistica. «L'Oriente e noi» è il titolo del primo dei dieci contributi di alta divulgazione, raccolti nel bel volume antologico curato da Tommaso Munari.
La copertina (ed. della Normale)
Nel 1922 si parlava ancora di Oriente con i toni e gli accenti dell'età coloniale. Del resto, l'intero sviluppo delle discipline universitarie di quel settore era allora legato alle esigenze del colonialismo, accettato e condiviso anche dalle classi intellettuali dell'epoca. Pur calato nell'atmosfera del suo tempo, Levi Della Vita mostra da subito la sua vena ironica, e la capacità di scegliere percorsi laterali. «L'orientalista - bisogna riconoscerlo onestamente - agli occhi del pubblico, e anche del pubblico colto, è poco meno che un mattoide». La frase, posta in apertura del saggio, la dice lunga sul carattere anticonvenzionale di questa Orientalistica dei primi anni Venti, e sul desiderio di uscire dalle regole del mestiere. Mattoidi che si occupano di cose strane e in apparenza inutili, incomprensibili ai più, gli studiosi delle culture orientali sono vittime, secondo Levi Della Vida, di due nemici congiunti. Innanzitutto, della superficialità del pubblico, che cerca «le vie trite e rifugge da quelle poco battute, preferendo assorbire la così detta coltura in formule già preparate». Ma l'avversario più pericoloso è la tendenza degli eruditi stessi a chiudersi nel loro isolamento, a dialogare tra specialisti, senza mai cercare i lettori "normali". Una buona divulgazione, «compiuta dai competenti e non dai soliti dilettanti», ecco l'insegna che contraddistingue una parte importante della biografia di Levi Della Vida. "Vie trite", "dilettantismo", "elitarismo". Parole vecchie di quasi cent'anni, e pure ancora attualissime. Se pensiamo all'inondazione di mediocri saggi, di solito tradotti dall'inglese, che ci affligge, e alla scarsità di prodotti pensati da esperti per il pubblico italiano, il mea culpa del 1922 mantiene tutta la sua validità. Che non sia inutile, scrivere con competenza di mondo islamico, ce lo mostra lacronacadituttiigiornL Per provare a capire è necessaria profondità storica, capacità di distinguere, attenzione per i dettagli.
Giorgio Levi Della Vida
Sono insomma utili i ferri del mestiere dello studioso, da usare però con lo stile e l'abilità di chi sa farsi leggere e non tedia. L'Islam di Levi Della Vida non annoia mai. Il libro offre contributi di taglio storico, come «Il mondo islamico al tempo di Federico II» o «Costantinopoli nella tradizione islamica», realizzati con fine tessitura filologica, assieme ad altri, rivolti alla politica e alla contemporaneità. È il caso di «Panislamismo e Califfato», del 1924, odi «Nazione araba e nazionalismo arabo» del 1956. Sorprende, nello sfogliare le analisi di Levi Della Vida, la "freschezza" di parecchie osservazioni. «Vicende storiche recentissime - leggiamo in apertura dell'articolo del 1924 - anzi tuttora in via di svolgimento, conferiscono un interesse attuale a quell'ordine di problemi storico-religiosi dell'Islam che vanno noti sotto i nomi di "Panislamismo" e di "Questione del Califfato"». Sono parole che avremmo potuto scrivere oggi e che ci fanno capire come certe dinamiche politiche del mondo islamico abbiano una lunga durata, e si ripropongano, pur in varianti diverse, a intervalli quasi regolari. È per questo che Levi Della Vita ritorna più volte, con brillante intuizione, al tema del Califfato, come fenomeno storico ma anche come simbolo di un'utopica restaurazione dell'unità araba. È quanto avviene in un articolo inedito, pubblicato qui perla prima volta, sulla «Fine del Califfato». Il testo era stato composto nel 1958, ed è stato rintracciato da Munari nell'Archivio storico del «Corriere della Sera». Fu ritenuto troppo erudito e respinto dal direttore Mario Missiroli, un rifiuto che indusse Levi Della Vida a interrompere la propria collaborazione con il giornale. Viene da chiedersi, dopo parecchi decenni, se l'erudizione fosse davvero così fastidiosa, o non servisse piuttosto avederci chiaro, in un subbuglio politico e religioso tanto difficile da decifrare, come quello musulmano. Dopo aver ricostruito le tappe dell'istituzione medievale, Levi Della Vida conclude richiamandosi all'«odierno — del 1958 — mondo islamico, in cui fermentano sogni e speranze». Sarebbe possibile, si chiede, immaginare un nuovo Califfato? «Per ora non crediamo che ci pensi seriamente nessuno. Ma in questo nostro secolo inquieto tante cose sono morte che parevano immortali e tante che parevano morte sono risorte, che sarebbe avventato così negare come affermare che prima o poi i musulmani possono ricuperare il loro "Principe dei credenti"». La proclamazione del "Califfato", da parte dello Stato Islamico, è del 2014, e l'ultimo video-messaggio del "Califfo" Abu Bakr al-Baghdadi ha appena fatto il giro del mondo. Orientalisti mattoidi? Decidete voi.
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