Perché si continuano ancora ad uccidere gli ebrei?
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
www.jforum.fr/pourquoi-on-tue-encore-des-juifs.html
La settimana scorsa, nel Sud di Israele, sono state uccise quattro persone: Moshe Agadi, 59 anni, ortolano; Moshe Feder, pensionato di 67 anni; Pinhas Menachem Pshuzmann, 21 anni, allievo di una Yeshiva e il beduino Ziad Alhamada, 49 anni, operaio edile e padre di sette figli.
La loro morte non ha suscitato fuori Israele alcun'ondata di indignazione. Alcuni media hanno sottolineato che si trattava soltanto di israeliani, se non di "coloni", anche se vivevano entro i confini internazionalmente riconosciuti di Israele, e hanno invece preferito stigmatizzare l'assassinio di una “donna incinta e del suo bambino” uccisi “ da colpi israeliani ” a Gaza, assecondando così la propaganda palestinese, nonostante ci sia stata una rapida smentita con prove alla mano, essendo stati colpiti da un razzo lanciato erroneammente all'interno della Striscia.
Nel corso di quest'anno, stavolta in America, a Poway, Lori Kaye , una donna di 60 anni, è stata uccisa nella sinagoga dove si era recata a pregare. L’assassino, uno studente di 19 anni, “voleva solo difendere il suo Paese dagli ebrei che cercano di distruggere il suo popolo”.
Nel novembre del 2018, un famigerato antisemita aveva massacrato 11 fedeli nella sinagoga “Albero della vita” di Pittsburgh; l’assassino, sebbene colto in flagrante, si era dichiarato innocente.
Sempre nel 2018, in Francia, Mireille Knoll, una donna ebrea di 85 anni, superstite della Shoah, era stata accoltellata a casa sua.
Nel 2017, Sarah Halimi, 65 anni, dottoressa ebrea in pensione, era stata selvaggiamente picchiata e scaraventata dalla finestra. Gli avvocati stanno ancora discutendo sulla natura antisemita di questi due crimini, per quanto già abbondantemente dimostrabile.
Un po’ ovunque in Europa, si stanno moltiplicando le “manifestazioni di antisemitismo”.
In Francia, in tutte le tavole rotonde televisive, i relatori, la mano sul cuore, recitano lo stesso mantra: “Mai più”. Gli editoriali denunciano una piaga, fingendo di scoprirne la comparsa o la ricomparsa. I governi menzionano le misure da adottare - legislazione, repressione - che peraltro esistono già da molto tempo. Si parla di creare comitati per analizzare il modo migliore per “combattere il fenomeno”.
Solo che a furia di parlare di “manifestazioni di antisemitismo”, ci stiamo dimenticando che in realtà si tratta di vandalismo che riguarda addirittura i cimiteri, di minacce e di aggressioni rivolte agli ebrei. E invece di tentare di reprimerli, sarebbe l’ora di far in modo di prevenirli.
Il che significa affrontare la realtà e prendere atto che è nell’educazione impartita a casa, a scuola e talvolta nei luoghi di culto, nella propaganda diffusa sui social network, che è necessario cercare le radici dell'odio viscerale che spinge un individuo a voler uccidere un uomo, una donna, un bambino che non ha mai visto prima e di cui non sa nulla, se non che è ebreo.
Leggere i commenti che accusano gli ebrei di tutti i mali del mondo e che i moderatori dei principali quotidiani come Le Monde e Le Figaro, lasciano passare senza batter ciglio, è spesso agghiacciante. Si fa fatica a comprendere l’autoinganno dei media, degli uomini politici, dei politologi, dei dirigenti universitari e perfino di quelli della giustizia, che in nome della sacrosanta libertà di espressione, si mostrano incredibilmente indulgenti nei confronti di coloro che diffondono ideologie mortali, e addirittura verso gli antisemiti, anche se già condannati in Francia dalla giustizia.
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".