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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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La Stampa Rassegna Stampa
11.05.2019 Giordano Stabile: una disinformazione dopo l'altra
Quando un 'dissidente' è un nemico e nei paesi musulmani rischia la vita

Testata: La Stampa
Data: 11 maggio 2019
Pagina: 13
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Scappa o fai la fine di Kashoggi, la Cia mette in salvo il dissidente»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/05/2019, a pag.12 con il titolo "Scappa o fai la fine di Kashoggi, la Cia mette in salvo il dissidente" la crinaca di irdano Stabile

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L'unica frase da condividere nel pezzo di Stabile è il richiamo a come funziona la Cia, in genere vista come il 'male assoluto'. Ecco le sue regole di comportamento: In base alle leggi statunitensi la Cia è tenuta ad avvertire i servizi alleati in caso di pericolo di sequestro o omicidio di dissidenti, e così è stato.
Per tutto il resto c'è da rimanre allibiti per tanta disinformazione in un solo articolo. Esaminiamole punto per punto:

1. " I nonni erano di Giaffa e dopo la nascita dello Stato di Israele sono stati costretti a trasferirsi in Egitto".
Israele nel '48 non ha espulso nessuno, chi ha fatto questa scelta ha agito di propria volontà, seguendo gli ordini dei paesi arabi che promettevano la distruzione di Israele in pochi giorni e garantivano quindi il ritorno con in più il possesso delle case degli ebrei sconfitti.

2:  "Giornalista, attivista, ha visto arrivare la popolarità, attraverso Twitter, durante la Primavera araba. Era il momento in cui l'opposizione laica si saldava con l'ala più filo-occidentale dei Fratelli musulmani e travolgeva tutti i vecchi regimi."
Nei Fratelli Musulmani non c'è mai stata nessuna 'ala filo-occidentale', anche dai tempi di Nasser era considerato un movimento fanaticamente religioso che si proponeva - e si propone ancora - l'invasione silenziosa in Europa e la caduta dei regimi laici arabi mediorientali. La realtà delle 'primavere arabe' si dimostrò il contrario di ciò che prometteva. El Baghdadi era quindi al servizio dei Fratelli Musulmani, oggi dichiarato fuorilegge in Egitto, dagli Usa, e da molti stati della regione, Arabia Saudita in testa.

3." e poi il colpo di Stato del generale Abdel Fateh al-Sisi"
Stabile, schierato dalla parte di el Baghdadi, tratta malissimo il presidente egiziano Abdel Al SiSi, che con la cacciata di Morsi ha salvato il proprio paese dalla feroce dittatura della Fratellanza, ha indetto poi libere elezioni, che ha vinto democraticamente.

Ecco l'articolo:
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Giordano Stabile

Quando all'alba del 25 aprile Iyad el-Baghdadi ha sentito bussare alla porta ha pensato che fosse arrivata la sua ora. Sapeva di aver tirato molto la corda, forse troppo, nelle critiche ai governi conservatori del Golfo, in particolare quelli emiratino e saudita. Ha pensato al suo amico Jamal Khashoggi, finito nella trappola dei servizi di Riad quando meno se lo aspettava. E anche a quel giorno del primo maggio del 2015, quando erano state le forze di sicurezza di Abu Dhabi a piombare a casa sua ad Ajmal, negli Emirati Arabi, per ordinargli di lasciare il Paese o finire in galera. Invece alla porta della casa in Norvegia, la sua patria di adozione da quasi cinque anni, c'erano agenti locali, appena allertati dalla Cia, che venivano a salvarlo e a portarlo in un luogo sicuro e segreto. La minaccia intercettata dall'Intelligence americana arrivava proprio dal Golfo. Un rischio di sequestro e deportazione forzata verso qualche prigione degli Emirati arabi o dell'Arabia saudita. O anche peggio. Una fine alla Khashoggi. In base alle leggi statunitensi la Cia è tenuta ad avvertire i servizi alleati in caso di pericolo di sequestro o omicidio di dissidenti, e così è stato. El-Baghdadi si è salvato e qualche giorno fa ha raccontato la storia sul social preferito, Twitter, dopo che il Guardian aveva dato un'anticipazione. Gli agenti, ha spiegato, gli hanno subito detto che «la minaccia era molto seria: erano ben preparati, divisi in due squadre, una per portarmi via in tutta fretta, l'altra per assicurarsi che non fossimo seguiti». La Cia si è rifiutata di confermare il fatto, ma non ha neppure smentito. Origini palestinesi
Per El-Baghdadi è l'ennesima fuga da un Medio Oriente che lo perseguita da ancor prima che nascesse. I nonni erano di Giaffa e dopo la nascita dello Stato di Israele sono stati costretti a trasferirsi in Egitto. Suo padre Ismael è poi emigrato negli Anni Settanta in Kuwait, come molti altri palestinesi, e poi negli Emirati, dove Iyad è cresciuto e ha vissuto fino al 2014. Giornalista, attivista, ha visto arrivare la popolarità, attraverso Twitter, durante la Primavera araba. Con il suo ottimo inglese traduceva slogan, discorsi, post dalla piazza Tahrir alla piazza mediatica mondiale. In particolare la traduzione di un video dell'amico attivista Aasma Mahfouz, nel febbraio 2011, raggiunse milioni di visualizzazioni in tutto il mondo. Era il momento in cui l'opposizione laica si saldava con l'ala più filo-occidentale dei Fratelli musulmani e travolgeva tutti i vecchi regimi. Centotrentamila seguaci
El-Baghdadi, allora 34enne, era legato anche Khashoggi e a numerosi commentatori di Al-Jazeera che portavano avanti quella linea. Il suo account su Twitter sfiorava i 130 mila seguaci, un punto di riferimento. Ma la primavera dura poco. L'arrivo al potere in Egitto di Mohammed Morsi, esponente dell'ala più oltranzista della Fratellanza, e poi il colpo di Stato del generale Abdel Fateh al-Sisi che l'ha deposto nel luglio del 2013, fanno cambiare il vento. Gli Emirati e l'Arabia saudita guidano la «restaurazione» ed El-Baghdadi diventa un cittadino scomodo. Anche la somiglianza con il nome del «califfo» Abu Bakr al-Baghdadi crea equivoci e non aiuta. Finché, dopo una presa di posizione a favore dell'oppositore egiziano Bassem Sabry, Abu Dhabi decide di espellerlo. El-Baghdadi racconterà poi di aver passato «13 giorni in condizioni inimmaginabili nel carcere di Al-Sadr», prima di raggiungere la Norvegia che gli concede l'asilo politico nel 2015. Di lì continua la sua critica ai governi autoritari della regione e l'omicidio di Khashoggi lo spinge ad attaccare anche il principe Mohammed bin Salman. Finché lo scorso 25 aprile «qualcosa di pazzesco», come lui stesso lo ha definito, accade. Resta zitto per un paio di settimane, per ragioni di sicurezza, e poi racconta tutto. Alla sua maniera.

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