Riprendiamo da LIBERO di oggi, 07/05/2019, a pag. 27, il commento di Costanza Cavalli dal titolo "Non piace ai musulmani, il quadro si copre".
Una delle opere censurate il nome del pensiero islamicamente corretto
le Stelle di Davide urtavano il pubbico musulmano
In una delle sale della Saatchi Gallery di Londra, una delle migliori gallerie d'arte contemporanea della capitale britannica, due dipinti hanno urtato la sensibilità di alcuni visitatori musulmani: uno dei due raffigura un nudo femminile (La grande Odalisca di Ingres) sul quale è stata scritta la professione di fede musulmana (la shahada); sullo sfondo, la bandiera degli Stati Uniti con le stelle di David al posto delle stelle bianche a cinque punte. I quadri sono stati definiti blasfemi e offensivi: così l'artista, noto come SKU - sta per "stock keeping unit", il codice identificativo di un articolo gestito a magazzino - non ha esitato un attimo e ha ordinato alla galleria di coprirli. Eppure, SKU - pseudonimo di un londinese la cui identità è ignota - aveva pensato la sua mostra, Rainbow Scene, come esplorazione di «come gli individui siano soggetti a forze culturali, economiche, morali e politiche»; tra le questioni affrontate c'era proprio la promozione dei valori attraverso «simboli e propaganda». In realtà, la Saatchi Gallery ha alle sue spalle una faticosa gavetta in quanto ad artisti tutt'altro che ortodossi. Il suo fondatore, il magnate della pubblicità Charles Saatchi, è diventato noto negli anni Novanta proprio grazie alle mostre di "arte dissidente". Era il 1997 quando i "suoi" Young British Artists esposero presso la Royal Academy di Londra: la mostra Sensation fu l'evento che lanciò il gruppo d'artisti più sovversivi e più influenti della contemporaneità. C'erano lo squalo in formaldeide di Hirst, la tenda dell'amore di Emin, gli omuncoli di Jake e Dinos Chapman, con il naso fatto a pene e la bocca modellata come un ano. E poi c'era l'enorme ritratto di Myra Hindley, la serial killer che negli anni Sessanta uccideva bambini nella brughiera strangolandoli con lacci e finendoli a colpi d'ascia. L'artista Marcus Harvey costa l'opera come una tela optical, composta da centinaia di impronte di mani di bambini. Esplose lo sdegno: vennero frantumati i vetri secolari della Royal Academy, alcuni visitatori lanciarono uova e getti d'inchiostro. Infine, c'era The Holy Virgin Mary di Chris Ofili, che rappresenta una vergine nera accanto a pezzi di escrementi di elefante. Quest'opera venne esposta anche al Brooklyn Museum of Art di New York nel 1999, e l'allora sindaco Rudy Giuliani minacciò di chiudere il museo. Eppure il Brooklyn, nonostante le manifestazioni dei cattolici, non la mosse di un centimetro. Anche Saatchi non ha mai rimosso un'opera d'arte, né mai ha suggerito di coprirne una: ha sempre sostenuto che ogni visitatore ha il diritto di trarre le proprie conclusioni, ma non può imporre la sua decisione al resto del pubblico. Questa volta, però, la galleria ha tentennato e poi ha ceduto. L'artista ha dichiarato al quotidiano Times che coprire i suoi lavori è comunque il segnale che qualcosa sia stato nascosto: «E una soluzione che consente il dibattito sulla libertà di espressione e allo stesso tempo rispetta chi si sente offeso». E la galleria: «Riconosciamo la sincerità delle lamentele e sosteniamo la decisione dell'artista di coprirle». Il che solleva una domanda: perché il mondo (occidentale) dell'arte accetta senza batter ciglio che si "insulti" un'icona cristiana, ma se in un'opera d'arte controversa c'entra l'Islam tutti si mettono sull'attenti?
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