Riprendiamo dal FATTO QUOTIDIANO di oggi, 06/05/2019, a pag. 14, con il titolo "L'embargo di Trump strangola Teheran e favorisce i radicali", il commento di Jean-Pierre Perrin.
L'articolo di Jean-Pierre Perrin è completamente pro-Iran. La difesa del regime degli ayatollah parte dall'economia, che sarebbe "strangolata" per colpa delle sanzioni che Donald Trump ha deciso di reintrodurre, rimediando all'accordo di appeasement voluto da Europa e Obama. La crescita del consenso per i "radicali" (così vengono definite le fazioni estremiste della dittatura sciita) è da attribuire, secondo il Fatto, allo stesso Trump. Un articolo che descrive una realtà immaginaria per scagionare Teheran e attribuire ogni colpa all'Occidente e agli Stati Uniti in particolare.
Ecco l'articolo:
Travaglio sempre peggio
Le sanzioni annunciate da Donald Trump dividono i responsabili iraniani: i radicali, che sanno di essere più forti dopo le sanzioni, vogliono chiudere il paese come una fortezza, i pragmatici invece preferiscono aprire i negoziati con gli Stati Uniti. Quale è la soglia limite oltre la quale il calo delle esportazioni di greggio sprofonderà l'economia iraniana nella crisi? La questione è decisiva nella Repubblica islamica dove le contestazioni sociali assumono una connotazione politica, com'è successo con le violente manifestazioni dell'inverno 2017-2018 e delle rivolte dell'acqua dell'estate 2018. Secondo il think thank americano International Crisis Group, che si basa sulle analisi di ufficiali locali, il punto di rottura va posto sotto la barra dei 700 mila barili al giorno. Dal ritiro degli Stati Uniti di Trump dal Joint Comprehensive Plan of Action, l'accordo di Vienna del 2015 sul nucleare iraniano, e la successiva entrata in vigore delle diverse sanzioni, le esportazioni di Teheran sono crollate a circa 1,1 milioni di b/g. più del 50% rispetto all'anno precedente. Per Trump però non basta: l'obiettivo è "zero esportazioni di petrolio". Di qui la nuova batteria di sanzioni che entra in vigore a maggio. Giovedì scorso Teheran ha reagito instaurando un nuovo sistema di razionamento del carburante per gli automobilisti e un rincaro dei prezzi alla pompa, provocando lunghe file d'attesa alle stazioni di servizio. E con un tweet, com'è sua abitudine, il presidente Usa ha deciso di mettere fine ai waivers, le deroghe al blocco dell'import di petrolio iraniano, entrate in vigore lo scorso anno e arrivate a scadenza a maggio, e che riguardano otto paesi importatori di petrolio iraniano, tra cui Cina, India e Turchia. La fine delle esenzioni, con la minaccia di sanzioni da parte degli Stati Uniti per i paesi disobbedienti, dovrebbe portare le esportazioni iraniane a 800 mila b/g a partire da giugno 2019, un livello cioè molto vicino alla soglia critica. E forse anche al di sotto, fino a 500 mila b/g, se Trump non dovesse rinnovare i waivers concessi a Giappone e Corea del Sud.
A TEHERAN, dove inevitabili battaglie sono scoppiate tra pragmatici e radicali, la preoccupazione è palpabile. Però le due fazioni ritengono che l'Iran non deve aspettarsi nulla dai paesi europei e che non bisogna credere ai meccanismi di "elusione" dell'embargo americano che l'Ue sta tentando di attuare, tra cui un canale di pagamento simile al baratto (battezzato Instex) che evita l'uso del dollaro nelle transizioni. Questa posizione è stata formulata in modo inequivocabile dal più moderato dei responsabili politici iraniani, Javad Mohammad Zarif, ministro degli Esteri, alikhamenei.ir, il sito ufficiale della Guida suprema: "L'Europa è incapace di aggirare le sanzioni americane (...). Non abbiamo mai riposto in lei le nostre speranze". Un discorso profondamente diverso da quelli portati avanti finora da Zarif, che aveva sempre difeso il dialogo con i paesi europei. È evidente che anche l'ayatollah Ali Khamenei si prepara al peggio. Lo dimostra un recente decreto che riduce in modo significativo la parte di risorse petrolifere destinate al Fondo nazionale iraniano, il cui scopo è prestare alle aziende e agli istituti finanziari iraniani, favorire lo sviluppo del paese e attirare capitali stranieri. Il potere iraniano si prepara dunque a vivere giorni difficili. La situazione economica è del resto già drammatica. Secondo il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), un ulteriore potenziamento delle sanzioni americane potrebbe far crescere l'inflazione in Iran al suo livello più alto dal 1980 (prima dell'annuncio di Trump sui waivers era già al 37%). Ora i prezzi al consumo potrebbero crescere del 50% nel 2019. L'Iran si ritroverebbe allora al terzo posto nel mondo dietro Venezuala e Zimbabwe, e allo stesso livello del Sudan. La moneta iraniana ha perso i due terzi del suo valore e l'economia dovrebbe confermarsi in recessione per il secondo anno consecutivo. Le previsioni del Fmi sono pesanti anche sulla contrazione del Prodotto nazionale lordo (Pnl), che potrebbe arrivare al 6% nel 2019, dopo il livello allarmante del 2018 (-4%). L'Iran cercherà di esportare il suo greggio ricorrendo al contrabbando, come aveva fatto dopo l'embargo precedente durato 40 anni. Il Paese dispone di una flotta petrolifera, di migliaia di autocisterne e di numerose frontiere con Stati poco scrupolosi sulla provenienza del petrolio, come hanno mostrato in passato i traffici con lo Stato Islamico. Ma sembra che gli Usa stiano lavorando molto sulle reti clandestine di esportazione. Senza contare che il barile di greggio iraniano rischia di essere venduto a un prezzo derisorio, di molto inferiore al mercato. Di fronte alla minaccia il regime è diviso. I pragmatici cercano di ammorbidire le tensioni con Washington. Non in modo diretto però, per non esporsi alle critiche dei radicali, ma, come proposto da Zarif, appoggiato dalla stampa riformatrice, attraverso un approccio umanitario che passerebbe innanzi tutto dallo scambio di prigionieri tra Washington e Teheran. Questa proposta avanzata all'amministrazione americana sei mesi fa è rimasta senza risposta. Il ministro degli Esteri sperava invece che potesse aprire un varco e permettere all'Iran e agli Stati Uniti di trovare un punto di incontro.
Donald Trump
TRUMP ha accettato il principio del negoziato, ma con un'accezione fondamentale: che le trattative non siano segrete, ma ufficiali, e che si concludano con un incontro al vertice tra lui e Rohani - come è accaduto già con la Corea del Nord. "In ogni modo, su cosa potrebbero negoziare? Qualunque dovessero essere le richieste di Washington, come per esempio il riconoscimento dello Stato d'Israele, Teheran non potrebbe accettarle. Sarebbe l'equivalente di un regime change", sottolinea Nasser Etemadi, un giornalista e analista iraniano che vive e lavora a Parigi. Per il campo radicale, una tale apertura non è immaginabile. "Dialogare con Trump è fuori questione. Quell'individuo è pericoloso. Non commettiamo l'errore", ha dichiarato di recente Ali Larijani, l'influente presidente del Majles, il Parlamento iraniano, facendo apertamente riferimento alla proposta di Zarif. Lo stesso tipo di discorso sale dai pasdaran, i Guardiani della rivoluzione, nella persona del generale Qasem Soleimani, alla testa della "Quds Force", la divisione per le operazioni all'estero, e sicuramente l'uomo più potente in Iran dopo la Guida suprema: "Il nemico vuole trascinarci al tavolo dei negoziati per mezzo di pressioni economiche, ma negoziare col nemico nelle circostanze attuali sarebbe un segnale di sottomissione. Gli iraniani non accetteranno mai una tale umiliazione". L'ayatollah Ali Khamenei, a cui i due uomini sono molto vicini, è sulla stessa linea. Al di là delle divergenze, tuttavia, si nota che il regime sta cercando di saldare i diversi ranghi. Il presidente Hassan Rohani ha dunque a sua volta accantonato gli abiti del riformista per incarnare una linea più dura e ora non è più bersaglio di attacchi violenti da parte dei suoi avversari conservatori. L'opzione "strangolamento economico" di Trump appare meno preoccupante agli occhi dei dirigenti iraniani dell'opzione militare, che sembrano privilegiare Benjamin Netanyahu, John Bolton e l'Arabia Saudita. "S i ritiene che l'Iran possa sopravvivere a un assedio economico fino alla fine del mandato di Trump e anche di un eventuale secondo mandato, sottolinea il giornalista Nasser Etemadi. E questo sulla base dell'idea,formulata da Ali Larijani, di creare una 'barriera fortificata' intorno all'Iran". Si tratterebbe anche di tornare ad uno dei concetti fondatori della Repubblica islamica, il khod kafai, una forma di autosufficienza. Una differenza c'è tuttavia con il periodo che ha seguito la rivoluzione: l'economia iraniana oggi è integrata a tutti gli effetti all'economia mondiale, di qui la sua vulnerabilità, soprattutto per il settore privato, di fronte all'embargo e alle sanzioni. La politica di Trump, introducendo una sanzione dopo l'altra, rinforza la linea iraniana più dura. Anche la recente decisione del presidente americano di iscrivere i pasdaran nella lista delle organizzazioni terroristiche, alla luce della campagna di "massima pressione" contro Teheran, va in questo senso. Non c'è da aspettarsi che essa spinga il regime verso il tavolo dei negoziati né che abbia la minima influenza sugli interventi in Siria, Iraq e Yemen. Non si tratta di una banale misura simbolica. "In Iran è vista come una minaccia proveniente da un nemico interno, spiega Negar Mortazavi, ricercatore iraniano per la fondazione Carnegie, con sede a Washington. In questo modo, i moderati iraniani non hanno altra scelta che allinearsi con i Guardiani della rivoluzione. Ogni critica nei loro confronti sarebbe considerata come un tradimento e avrebbe un costo politico elevato.
LA POLITICA di massima pressione dell'amministrazione Trump continua a indebolire le forze moderate che vogliono relazioni migliori con l'Europa, riducendo il loro campo diplomatico. Essa, inoltre, avverte Mortazavi, spingerà i radicali a reprimere la società civile, i militanti dei diritti umani e quanti lavorano per un Iran più democratico". (traduzione Luana De Micco)
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