Nel corso della trasmissione televisiva “Otto e mezzo” del 23 marzo, dedicata all’analisi del contesto e delle conseguenze dell’uccisione dello sceicco Yassin, c’è stato un momento in cui Giuliano Ferrara ha perso il tradizionale aplomb e ha infranto il clima formale della trasmissione (in cui il “lei” è d’obbligo). È stato quando ha osservato che la condanna da parte del Ministro degli Esteri Frattini dell’uccisione di Yassin era degna di considerazione, in quanto si iscriveva nel contesto di una politica ispirata alla comprensione per le ragioni di Israele e che aveva perseguito una lotta sistematica nei confronti del terrorismo – in particolare, nei confronti di Hamas, durante il semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea – mentre una condanna nella bocca del Ministro degli Esteri francese «faceva girare le palle»…
Palle a parte, l’irritazione di Ferrara appare pienamente motivata. Le ragioni e l’opportunità della scelta israeliana sono materia di un’analisi molto complessa, che non può essere certamente esaurita con una chiacchiera da bar. È quindi pienamente legittimo che si manifestino perplessità e anche dissensi circa tale scelta. Quel che appare assolutamente intollerabile è che la “condanna” venga fatta non sulla base di un’analisi politica, ma di valutazioni “morali” da parte di chi la morale l’ha messa sotto i piedi infinite volte. È con lucida attenzione che vanno lette le analisi che cercano di esplorare le ragioni della scelta israeliana e le possibili conseguenze, che si articolano in una diramazione molto complessa di alternative. Ma lo stracciarsi le vesti per l’inammissibilità morale del “crimine”… quello no, per favore… È intollerabile questa esibizione di pietà pelosa, questo fiume di lacrime per la morte di un assassino della peggior specie, mentre la pietà e le lacrime sono state centellinate a dosi omeopatiche per le vittime del medesimo assassino. Tanto più intollerabile da parte di chi ha difeso le ragioni di Hamas e si è battuto perché questa organizzazione non venisse inserita nella lista dei movimenti terroristi, l’ha presentata come una Ong innocua ed anzi benefica nel prodigarsi ad alleviare le sofferenze del popolo palestinese, e meritevole pertanto di aiuti da parte delle disastrate finanze europee.
Che tristezza – e che preoccupazione! – dover constatare che lo spettacolo più desolante di questo impudente tartufismo ha luogo a sinistra dello schieramento politico. Informazione Corretta ne ha dato ampiamente conto e non insisteremo nella descrizione del coro angelico che ha già beatificato con procedura d’urgenza lo sceicco del terrore. Nel coro si è elevata al di sopra di tutte la voce di Achille Occhetto, il quale – da esperto delle gerarchie musulmane qual è unanimemente riconosciuto – ha detto che aver ucciso Yassin è come se, in ambito cattolico, fosse stato ucciso il Papa… È peraltro noto come il Papa sia al centro di un’organizzazione che ogni mattina spedisce fuori del Vaticano decine di sacerdoti e chierichetti imbottiti di cinture esplosive.
La tragedia è che, a sinistra, simili insanità vengano ascoltate senza sdegno né ironia: esse vengono tollerate come parte del calderone delle opinioni del “movimento”. Perché il vero problema è il caos politico che domina il centro-sinistra sui temi di politica estera e sulla questione del terrorismo e del pacifismo. Si guardi al dibattito che infuria dopo la contestazione a Fassino nel corteo del 20 marzo. Alle vibrate proteste di una parte dei vertici e della base diessina si contrappongono interventi che sottolineano il carattere “ridicolo” e “minimo” di quell’evento rispetto alla grande manifestazione pacifista. Rossana Rossanda parla di «rissa da cortile» e se la prende con toni furenti contro chi ha tentato di sequestrare una manifestazione di milioni di persone con il pretesto di una contestazione irrilevante, e ridicolizza chi ha chiesto una presa di distanza da Gino Strada. Sansonetti, su L’Unità, rida fiato a una retorica di stile sessantottino, nel descrivere il grande, immenso movimento per la pace, da lui visto come il piedistallo di una nuova possibile sinistra vittoriosa, e nell’ambito del quale alcune sbavature estremistiche rappresentano aspetti non caratterizzanti, legittimi ed anzi meritevoli di aver proposto in anticipo temi che oggi sono patrimonio di tutti (“tutti” loro, beninteso).
A noi non interessa minimamente se costoro “ci siano” o “ci facciano”. Quel che ci interessa è che, per loro, sia marginale, anzi ammissibile, ed anzi sia un contributo alla costruzione del movimento, che Strada insulti a suo piacimento (dicendo che chi non ha votato contro il ritiro delle truppe è un “delinquente”), che Caruso inviti agli “schiaffoni umanitari”, che dal corteo si urli a Fassino che è un “criminale”, che sfilino striscioni inneggianti al terrorismo e ad Al Qaeda.
Ne abbiamo viste tante. Alla televisione una cronista intervistava una signora dai modi raffinati, avvolta fino ai piedi da una bandiera arcobaleno. Il viso incorniciato dai corti capelli grigi era soffuso da un’espressione di delicata beatitudine, come se gli occhi che continuamente si rivolgevano verso l’alto captassero immagini celestiali. Non più di tre parole si alternavano alla parola “pace”, continuamente ripetuta come una dolce preghiera. Dietro di lei, come un fondale, scorreva il corteo dei pacifisti del 20 marzo e un lungo striscione nero su cui si leggeva: «No alla guerra. Sì alla resistenza irakena e all’intifada palestinese» (traduzione = sì al terrorismo di Al Qaeda e di Hamas). E allora, era difficile, sullo sfondo di quel brutale ossimoro non vedere il sorriso celestiale della signora come un ghigno diabolico. Eppure, la povera signora era soltanto una di quelli che non sono necessariamente in malafede, ma che hanno la mente imbottita di una confusione mentale e di uno strato di formule propagandistiche ormai praticamente impenetrabile.
Però poi ci sono quelli che “ci fanno”, perché hanno scelto deliberatamente la funzione di inquinare le menti e confondere le acque. Chi viene dalla vecchia scuola comunista sa bene che il Partito, magari per puro opportunismo politico, mai avrebbe consentito l’esibizione di scritte come quelle che abbiamo ricordato, mai avrebbe permesso parole d’ordine e attacchi interni volti a creare confusione e a spaventare i “benpensanti”. Ma qui non vige neppure più quella regola d’opportunità, e si pratica una pedagogia scellerata che legittima come “parte del movimento” parole d’ordine, queste sì, autenticamente criminali. Ha quindi ben ragione Galli Della Loggia quando scrive sul Corriere della Sera di oggi (24 marzo) che Piero Fassino, con il suo atto coraggioso, ha messo a nudo i problemi e le contraddizioni della sinistra e si è proposto come il vero leader del riformismo di sinistra. Ma, osserva Galli della Loggia, occorre che Fassino vada fino in fondo, e forse questo non basterà perché egli si trova di fronte a pregiudizi e tic ideologici che costituiscono un deposito di difficile smaltimento, e quindi la sua azione rischia di arrivare troppo tardi.
Purtroppo, la risposta ai dubbi di Galli Della Loggia è forse già arrivata. Leggiamo su tutti i giornali che Fassino avrebbe suggerito ai suoi di abbassare i toni della polemica. Una scelta che sarebbe stata fortemente patrocinata da Prodi. Del resto, lo si è visto. Fassino è sceso in strada da solo. Veltroni era altrove, D’Alema era assente perché in partenza il giorno successivo, Prodi ha taciuto fino a sera e, anche dopo aver espresso la sua solidarietà a Fassino, secondo tutte le fonti ha invitato alla massima prudenza, per non rompere l’unità del popolo della pace che dovrebbe essere la nuova base portante di un centro-sinistra vincente. E con chiarezza si profila la linea ultra-zapaterista del futuro presidente del Consiglio e del suo futuro ministro degli Esteri: smetterla col discorso del terrorismo quale sfida globale all’Occidente, della terza guerra mondiale dichiarata dall’integralismo islamico, e riportare al centro dell’agenda la questione israelo-palestinese, da trattare al modo indicato da D’Alema: tirare le orecchie a Israele, e imporre la pace anche con un intervento armato. Se così stanno le cose e se Fassino invece di ribellarsi accetta di abbassare i toni, la sua breve e generosa campagna di primavera è già finita. Non gli resterà altro che rimettersi a tessere la tela che dovrebbe tenere insieme i riformisti alla Polito con Agnoletto e Casarini, Gino Strada con Franco De Benedetti, Peppino Caldarola con Caruso, Boselli con Rizzo (quello che ha detto in TV che il partito Baath è un partito progressista), Del Turco con Pecoraro Scanio.