Riprendiamo dal SOLE24ORE/Domenica di oggi, 05/05/2019, a pag.30 con il titolo "Storia di donne ebree d'America " la recensione di Giulio Busi al libro di Pamela S.Nadell "America's Jewish women, A History from colonial times to today" Norton Pub.
Giuio Busi
Nel 1840 sono 15mila. Solo quarant'anni più tardi, il loro numero è arrivato a 250mila. Basta aspettare qualche decennio, per registrare un balzo prodigioso. Agli inizi del Novecento, in America del Nord vivono circa i milione di ebrei, che diventeranno 3 milioni e mezzo nel 1920. Già la progressione demografica ci mette sotto gli occhi un sogno collettivo. O meglio, un sogno nel sogno. Una società che promette, e molto spesso mantiene, integrazione, ascesa sociale, uguaglianza, questa è la narrazione fondante dell'ebraismo americano. Che poi l'espressione stessa, «Melting pot», sia diventata proverbiale grazie all'omonima opera teatrale, portata sulle scene nel 1908 dallo scrittore ebreo Israel Zangwill, è un'ulteriore conferma di pertinenza simbolica. Quello che spesso si dimentica è che più della metà di questi "sognatori" erano in realtà "sognatrici".
Le donne ebree d'America, diventate tali una generazione dopo l'altra, non sono un tema storiografico nuovo. Ma non le si è ancora studiate in profondità, come richiederebbe l'importanza del loro ruolo.
Pamela Nadell ha una penna accattivante, e si è buttata nell'impresa di narrare l'intera vicenda dagli inizi coloniali fino, si può ben dire, a oggi. Il libro scivola gradevolmente, con buon piglio giornalistico, e inevitabili alti e bassi. Un po' meno convincente per l'epoca delle pioniere, di cui si sa poco e che faticano a uscire dalla sfera privata della famiglia e del matrimonio, il volume prende ritmo con le attiviste peri diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, le femministe, le riformatrici della tradizione religiosa. Alcuni cammei biografici sono brillanti, come quello dedicato a Bessie Abramowitz, giunta dalla Russia negli Stati Uniti nel 1905, più per sfuggire a un matrimonio combinato che alla repressione zarista. Negli anni Dieci del Novecento, Abramowitz fu memorabile protagonista degli scioperi del comparto tessile, e si guadagnò il soprannome di «Bessie dello spillone», perché - si dice - era solita pungere con lo spillone del suo cappello i cavalli della polizia, durante le cariche ai picchetti. Ci sono anche caratteri più tranquilli, nel libro di Nadell, ma non per questo meno incisivi. Uno degli ultimi profili, in ordine di tempo, èdedicato alla rabbina Angela BuchdahL Figlia di madre buddista, d'origine giapponese, e di un ebreo ashkenazita, la cui famiglia veniva dalla Romania, Buchdahl è nata a Seul, esi è poi trasferita negli Stati Unit. È la prima rabbina asiatico-americana, e dal 2014 è rabbina-capo alla Central Synagogue di Manhattan, dopo esserne stata prima cantrice dal 2011. Diritti da difendere, spilloni, canto, rotoli della Torah l'arsenale delle sognatrid è vario ed efficace.
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