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Riprendiamo da BET (Bollettino della Comunità ebraica di Milano), maggio 2019, a pag.6, con il titolo "Perchè Papa Francesco, con il Re del Marocco, ha ridotto Gerusalemme a luogo di culto, bypassando l'appartenenza a Israele?" il commento di Angelo Pezzana
Lungi da chi scrive anche la sola intenzione di insegnare al Pontefice della chiesa cattolica la storia molte volte millenaria di Gerusalemme, da colto gesuita la conoscerà sicuramente. Saprà quindi tutto sulla sua vocazione ad essere la capitale di uno stato- Israele- dove, finalmente, la pratica di ogni culto viene garantita e tutelata a ogni religione, unico esempio in una parte del mondo dove lo sport preferito dalla religione dominante, l’islam, è quello di rendere impossibile la vita a tutte le altre. Lascia quindi stupiti e contemporaneamente indignati l’appello firmato il 30 marzo a Rabat dal papa Bergoglio insieme al re del Marocco, che propone per Gerusalemme un futuro in cui si possano realizzare ciò che secondo i due firmatari ancora mancano: “luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica, in cui si coltivano rispetto reciproco e dialogo, conservare e promuovere il carattere specifico multi-religioso, la dimensione spirituale, garantire la piena libertà di accesso ai fedeli delle tre religioni monoteiste e il diritto di ciascuna di esercitarvi il proprio culto.. ecc.ecc.” come recita l’appello pubblicato sull’Osservatore Romano. Oltre allo stupore e all’indignazione viene il dubbio che la partecipazione di re Mohammed VI sia stata nulla più di una dimostrazione di amicizia nei confronti della religione cattolica, essendo il Marocco lo stato che ha attuato le maggiori riforme fra tutti i paesi islamici, dimostrando altresì notevoli aperture verso Israele. Un appello che al re non sarebbe neppure venuto in mente, visto il controllo che esercita su imam e moschee nel suo paese per difenderlo dal pericolo terrorista . Un incontro cordiale,dunque, da iscriversi però all’interno della politica vaticana, che non ha mai diminuito la propria ostilità verso lo Stato ebraico, sin da quanto attese 45 anni prima di essere obbligata a riconoscerne ufficialmente l’esistenza. Con questo appello, il pontefice cerca di snaturare l’appartenenza di Gerusalemme a Israele, negandole tutte le qualità che spettano a una capitale, per trasformarla in un luogo dedito unicamente alle manifestazioni religiose, dettando le regole che dovranno amministrarla. Dopo gli innumerevoli tentativi, per fortuna falliti, di sostituire il nome Israele con Terra Santa, il Vaticano ci riprova alzando il tiro, con una iniziativa talmente arrogante da andare oltre qualsiasi immaginazione. Quali poteri ritiene di possedere il Pontefice per disporre a suo piacimento della capitale di un altro stato? Le reazioni sono state finora quasi inesistenti, nessun media né cartaceo né radio-televisivo è intervenuto per avanzare educatamente questa domanda. Il 20 settembre e Porta Pia sono lontani, urge richiamarli in vita.
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